Se tutti i 4mila abitanti di Renate accorressero allo stadio, neanche uno su due resterebbe fuori dai cancelli. Il calcio che piange la lontananza dei tifosi, qui è liquidato con una scrollata di spalle. Primo perché da professionisti, è da anni che ci sono un paio di tacche del serbatoio da far fuori per raggiungere lo stadio di Meda: una ventina di chilometri più in là, ma omologato alla categoria con i suoi 2.500 posti a sedere e per questo scelto come casa adottiva. Poi perché, in fondo, di tifoserie organizzate come le si intende, il Renate non ne ha mai avute. Un paio di stagioni fa, l'incasso di un'intera annata sportiva aveva messo insieme poco più di 20mila euro. I supporter, una banda di pensionati più simili agli umarell che agli ultrà da curva. Tra questi «il Pellizza», Augusto Pellizzoni che di anni ne ha 89, o il Carluccio Crippa, ex Torino, nonché papà di Massimo. Che ha giocato due olimpiadi, messo insieme 17 presenze in nazionale e condiviso l'altra maglia azzurra con Maradona nel Napoli scudettato. Neanche Parma, dove ha vinto anche due coppe europee, l'ha sedotto con spongata e culatello: meglio tornare nella sua alta Brianza, dove ha trascorso l'ultima decade da direttore sportivo e generale. «Perché non mette la sua esperienza a disposizione di qualche squadra di A?», gli hanno chiesto in Rai. Tackle pulito, senza fronzoli, nel dare risposta: «Perché a Renate sto troppo bene».
Renate, come la Brianza, è quello che si vede. Niente di più, ma neanche niente di meno. E il calcio è figlio della società in cui vive. In 11 anni di professionismo, mai un punto di penalità per il ritardo nel liquidare gli stipendi. Che, per inciso, sono spesso più simili a quelli di qualche dirigente di medio livello, più che a quelli di un calciatore più volte lì lì per andare in B. Lo scorso anno nel campionato vinto dal Covid e dominato dai cugini del Monza, l'eliminazione per mano del Novara arriva proprio agli spareggi playoff. «E quest'anno non abbiamo ancora vinto niente, al posto di parlare così tanto di Renate, meglio stare schisci», ammoniscono Aldo Isella e Ettore Redaelli. La loro non è scaramanzia da tifosi, ma pragmatismo brianteo. «Il problema è che del Renate interessa solo agli over 50. Ma finché il presidente Luigi Spreafico non si stanca di metterci i soldi, noi siamo contenti». «Per me il calcio è un hobby, mi tiene occupato la domenica», spiega il diretto interessato. «Non mi ricordo da quanti anni sono presidente, saranno 20 o 25. Noi non siamo abituati a vincere, ma lavoriamo bene perché abbiamo passione. Con il nostro budget minimo, se non fossimo organizzati non saremmo arrivati fin qui».
Renate, nella Brianza monzese che si mescola a quella lecchese, fino a pochi anni fa era parte di quella provincia di cui i vecchi milanesi dicevano che «si sente che qui c'è tutta un'altra aria». Da Sant'Ambrogio in avanti, con il rito romano mai abbandonato nella città di Teodolinda, Milano e Monza hanno continuato a vivere di una continuità alternativa. Oggi il Monza sogna la A, il Renate rivendica quella B che vede più vicina dall'alto della classifica e che, se conquistata, gli consegnerebbe il record di Comune più piccolo di sempre fra i cadetti. Il percorso delle due cugine, il 28 ottobre 2019 si incrocia: al Brianteo è derby tra prima e seconda della Lega Pro. E il Renate, al minuto 93, è sotto di due gol. Distacco virtuale di 10 punti e campionato già chiuso dopo poche giornate. Poi il Renate pareggia in 120 secondi con Guglielmotti e Maritato e Silvio Berlusconi lascia furioso il Brianteo, dicendo ai giornalisti presenti che «non ho mai visto un portiere prendere un gol così». Il riferimento è a Eugenio Lamanna, infilzato due volte in un amen come solo il grande renatese Edoardo Mangiarotti lo schermidore olimpico più medagliato della storia - avrebbe potuto fare. Renate l'ispirazione l'ha regalata anche all'ex magistrato Gherardo Colombo, cresciuto lì tra la casa dei nonni e le partite a tennis, e a calciatori come Francesco Acerbi, Gian Marco Ferrari o Stefano Turati, che al suo debutto tra i pali del Sassuolo sradicò la palla dai piedi di CR7, nella partita contro quella Juventus che oggi vede titolare un altro ex di queste parti, Gianluca Frabotta.
Renate non sarà esattamente una capanna verso cui si muove la cometa, ma rappresenta sì quella rivincita della condizione semplice che tocca le vette più alte. In paese, non c'è un'edicola che racconti le cronache sportive di chi ha tolto la località dalla mappa dell'anonimato. «Ma noi siamo orgogliosi della nostra squadra», spiega Mario Frigerio, classe 1938. Che esce di chiesa e apre la porta di casa, per mostrare foto in bianco e nero, lui che conosce solo il nerazzurro dell'Inter e quello del Renate. «Ci ho giocato, ero un difensore, una mia foto sul campo dell'oratorio è diventata famosa: è una rovesciata alla Parola, quello delle figurine. Ma io fino a Meda non ci vado. Se si andrà in B, guarderò in tv».
E se è vero che i riflettori puntati rischiano di accecare, è giusto riconoscere che fanno pure luce sul perché oggi il calcio di provincia abbia trovato qui una nuova capitale. Una chiave di lettura è quella di Carlo Edoardo Valli, che con le sue maniglie è partito da Renate per conquistare i mercati dei cinque continenti. Oggi 84enne, vicepresidente della Camera di Commercio Milano Monza Lodi che a lungo ha guidato, negli anni di presidenza di Acm e Sias - la società che gestisce l'autodromo di Monza - si è trovato a contrattare con Ecclestone accordi plurimilionari per trattenere la F1 in Brianza. «A questo Renate vanno fatti i complimenti. La capacità di fare cose grandi partendo dal nulla viene dai nostri padri. Dall'artigianalità e dall'inventiva che hanno creato sul nostro territorio imprese che si sono fatte valere e creato occupazione. Da renatese poi mi piace ricordare il nostro concittadino più illustre, il compianto cardinale Dionigi Tettamanzi». «Il mio arcivescovo», annuisce don Alessio Albertini.
Fratello di Demetrio, colonna del Milan e della Nazionale, ribadisce come «questo territorio ha sempre fatto il proprio dovere, impegnandosi e conservando uno spirito solidale. Far divertire i ragazzi con il calcio è importante. Non ci vuole fortuna, ma pazienza e programmazione. Quella tipica dell'artigiano che non ha fretta di arrivare subito, ma si dà tempo per raggiungere gli obiettivi».
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