Femminicidio, pena dimezzata per il bancario killer

La Corte di assise di appello si pronuncia su un caso di femmincidio dimezzando la pena al bancario che nel 2017 uccise la compagna per gelosia

Femminicidio, pena dimezzata per il bancario killer

Accecato dalla paura di perdere la sua compagna l’aveva uccisa. Era il 2017 e il delitto ebbe vasta eco nella Capitale. Forse perché maturato negli ambienti della cosiddetta “Roma bene”. Lui, Francesco Carrieri, 57 anni, era un uomo di successo, un direttore di banca. Lei, Michela Di Pompeo, di 47, insegnava italiano alla Deutsche Schule di Roma. L’omicidio, poi, si era consumato in un appartamento di via del Babuino, a due passi da piazza di Spagna, proprio nel cuore del centro storico. In quella casa, presa in affitto dall’attore Alessandro Preziosi, i due convivevano. Ma i litigi, per la gelosia di lui, ultimamente erano all’ordine del giorno. E una sera sono sfociati nell’orrendo delitto. L’uomo l’ha uccisa colpendola ripetutamente, fino a sfigurarla, con un manubrio da palestra. Poi si è costituito.

Oggi è la Corte di assise di appello di Roma a scrivere una nuova pagina di questa storia, dimezzandogli la pena e riconoscendogli la seminfermità mentale. Carrieri non dovrà più scontare trent’anni di reclusione, come deliberato a ottobre scorso in sede di rito abbreviato dal gup Elvira Tamburelli. Bensì sedici. E una volta espiata la pena trascorrerà tre anni in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Una vittoria per la difesa, che ha sempre sostenuto l’attenuante della seminfermità. Se in primo grado il killer è stato ritenuto “lucido e vigile” nel momento in cui si è scagliato contro la compagna e quindi pienamente capace di intendere e di volere, i periti nominati dall’appello hanno riscontrato la presenza di un disturbo bipolare causato da uno stato depressivo. Carrieri, come si legge su Il Corriere della Sera, che riporta gli stralci chiave della maxi perizia, era “in condizioni tali da almeno grandemente scemare la capacità di intendere e volere”.

Inoltre, scrivono ancora i tecnici, non è socialmente pericoloso purché venga sottoposto a terapia farmacologica.

Fuori dal tribunale dove si è celebrata l’udienza odierna c’erano familiari, studenti e amici della Di Pompeo. Loro non credono alla tesi della seminfermità e continuano a invocare “Giustizia per Michela”.

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