Cronache

Fermo, accolto patteggiamento per Mancini. Ma resta aggravante razzista

Amedeo Mancini sconterà 4 anni di carcere ai domiciliari per la morte di Emmanuel. Il pm ha accolto il patteggiamento

Fermo, accolto patteggiamento per Mancini. Ma resta aggravante razzista

Si chiude in silenzio il caso del nigeriano morto a Fermo il 5 luglio scorso. Finisce in punta di piedi sebbene fosse iniziato coi fuochi d'artificio. La morte di Emmanuel aveva mobilitato l'ex ministro (ora sottosegretario) Maria Elena Boschi e il presidente della Camera Laura Boldrini. Ma di quel rumore oggi rimane soltanto l'eco.

Ieri infatti è stato raggiunto un accordo tra la difesa e l'accusa sulla richiesta di patteggiamento di Amedeo Mancini, 39enne ultrà della Fermana accusato di omicidio preterintenzionale per la morte del nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi. L'accordo costringerà Mancini a 4 anni di arresti domiciliari con il permesso di allontanarsi per 4 ore al giorno e lavorare così ai suoi campi. La difesa aveva chiesto di eliminare le aggravanti di recidiva, futili motivi e quella razziale, mentre il pm ha voluto mantenere quella razziale. L'eliminazione di due delle tre aggravanti e il riconoscimento dell'attenuante della provocazione hanno permesso di ridurre la pena da 10 a 4 anni. A decidere se ratificare o meno la decisione spetterà al gup Maria Grazia Leopardi in una prossima udienza.

La "vera storia" dell'ultrà già condannato dalla sinistra ha però una trama più complessa di quella raccontata nei primi giorni. E la volontà del pm di mantenere l'aggravante razzista sembra andare in aiuto della prima narrazione mediatica della vicenda: l'omicidio razziale. Eppure tra l'insulto "scimmia" e la morte di Emmanuel sono passati diversi minuti e in mezzo c'è stato il pestaggio subìto da Mancini per mano del nigeriano. E così alla fine potranno salvarsi la faccia la Boldrini e la Boschi, che si erano lanciate senza paracadute ad accusare di ogni orrore xenofobo l'ultrà.

I legali avevano chiesto il patteggiamento per "stemperare la tensione" e per evitare un processo che avrebbe soltanto "diviso ulteriormente" la cittadinanza fermana, già spaccata a metà tra colpevolisti e innocentisti. In fondo le risultanze delle indagini non hanno permesso di disegnare un quadro chiaro di quanto successo intorno alle 15 di quel 5 luglio alla fermata del bus di via Veneto. Da una parte c'è la versione della vedova di Emmanuel, che ha sempre sostenuto di aver subito una aggressione verbale ("scimmia") e fisica. Dall'altra la ricostruzione dei fatti di diversi testimoni che confermano quanto riferito agli inquirenti da Mancini e dall'amico che era con lui.

La morte di Fermo si è colorata nel tempo di contorni dalle tinte offuscate: la presunta appartenenza di Emmnauel alla mafia nigeriana, le minacce di morte alle testimoni, l'apertura di un conto corrente per sostenere le spese legali dell'ultrà. Ed è forse anche per motivi economici che Mancini ha deciso di chiedere il patteggiamento ed evitare il processo, non solo perché senza immagini e videocamere sarebbe stato difficile dimostrare la legittima difesa. Tuttavia la difesa è certa che tra i calci di Emmanuel e il pugno fatale non vi sia stata un'interruzione temporale tale da trasformare Mancini da aggredito in aggressore. Per questo non si sente colpevole, anche se vorrebbe tornare indietro per non commettere l'errore di insultare i due nigeriani.

Ma la reazione l'ha sempre consdierata necessaria: "Non mi hanno lasciato scampo".

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