Il 2018 sarà un anno decisivo per Cuba visto che, per la prima volta da 59 anni, l'isola caraibica simbolo del comunismo non sarà più governata dalla famiglia Castro. Da quando la rivoluzione dei barbudos estromise il dittatore dell'epoca, Fulgencio Batista, si sono infatti succeduti alla presidenza del regime autoritario cubano solo il líder máximo Fidel Castro - dal 1° gennaio del 1958 sino al 2008 - e, d'allora sino ad oggi, suo fratello Raúl. Ora, se il primo è morto da oltre un anno, l'attuale 86enne presidente cubano lascerà sicuramente il potere nel 2018 «a qualcuno più giovane» per sua stessa ammissione. A decidere chi sarà il primo non Castro al potere all'Avana saranno i parlamentari tutti comunisti, visto che le candidature di altri partiti sono proibite - eletti il prossimo 24 di febbraio. Grande favorito è il 57enne Miguel Díaz-Canel, attuale vice di Raúl ma, soprattutto, un ingegnere che per motivi anagrafici non ha preso parte né alle «gesta rivoluzionarie» della Sierra Maestra né alle guerre africane degli anni Sessanta.
Cambierà però qualcosa, al di là del cognome? Poco probabile se si guarda il video di una festa del Partito Comunista cubano filtrato di recente e pubblicato dal Miami Herald in cui lo stesso Díaz-Canel difende a spada tratta il partito unico ed espone i suoi progetti per reprimere la stampa indipendente, le imprese ed i gruppi d'opposizione: «Stiamo prendendo tutte le misure necessarie per screditarli», chiarisce il probabile successore, a dimostrazione che non cambierà affatto il modus operandi della dittatura più antica dell'America Latina.
L'ennesima illusione, dunque, quella della transizione democratica di Cuba in cui aveva finto di credere Barack Obama il 17 dicembre 2014, quando aprì a Raúl Castro. O una bugia bella e buona come, ad esempio, la presunta onestà (intellettuale ma non solo) di uno come Fidel Castro simbolo iconico del comunismo mondiale che, pur predicando l'eguaglianza di tutti i cubani, è riuscito ad accumulare una ricchezza tale che, quando morì il 25 novembre dello scorso anno, lasciò 900 milioni di dollari Usa in eredità ai suoi parenti.
La stima della massa ereditaria lasciata dal líder máximo fatta dalla rivista Forbes, che sin dal 2006 lo aveva inserito tra i dieci uomini politici più ricchi del globo terracqueo, implica un'enorme incoerenza tra quanto affermato e quanto praticato dal dittatore cubano durante i suoi 50 anni di potere assoluto. E, dopo decenni di panegirici scritti dai vari intellettuali sinistrorsi nostrani alla Ignacio Ramonet che ce lo hanno descritto come austero e dedito a «lavorare instancabilmente per la rivoluzione», oltre a Forbes un'altra conferma arriva da Juan Reinaldo Sánchez, per 17 anni una delle guardie del corpo più fedeli di Fidel e che, dopo essere caduto in disgrazia e poco prima di morire a Miami nel 2016, scrisse La Vita Nascosta di Fidel Castro
Un capolavoro di realismo da cui si evince come, in realtà, Fidel abbia sempre goduto di comodità più consone a un «lupo di Wall Street» che a ex guerrigliero dedito al benessere del suo popolo. Come spiegare ai difensori del comunismo nostrani, ma soprattutto ai giovani che ancora oggi all'Avana guadagnano 30 euro al mese, che Fidel passava molte delle sue giornate sul suo yacht superlusso Aquarama II, con chiglia fatta di legname pregiato dell'Angola, o sulla sua isola privata di Cayo Piedra, con tanto di delfini, allevamenti di tartarughe caraibiche e ogni genere di comfort? Quando Fidel partiva sul suo yacht sedeva sempre in un'enorme poltrona di pelle nera, con in mano un bicchiere di Chivas Regal on the rocks, il suo drink preferito. E che dire della corte di donne che gli hanno dato 9 figli o dell'immenso immobile di sua proprietà all'Avana, con tanto di campo da bowling sul tetto, un altro da pallacanestro ai piani inferiori e un centro medico dotato di ogni equipaggiamento all'avanguardia? Senza parlare del bungalow con molo privato extra-lusso sulla costa o dei diamanti angolani che Fidel conservava gelosamente nelle casse dei suoi sigari Cohiba.
Chissà che cosa ne pensano i compagni anche se, più che a loro, forse una risposta la possiamo ottenere dallo storico recentemente scomparso Hugh Thomas nel suo impareggiabile libro Cuba or the pursuit of freedom che ci descrive come nel 1957, ovvero a meno di due anni dalla conquista del potere, Fidel Castro ricevette l'appoggio dei principali imprenditori cubani, compresi i Bacardi, stanchi dell'instabilità politica della dittatura di Batista.
«Il movimento di simpatia verso Castro scrive Thomas aumentava anche tra la classe opulenta a tal punto che persino il principale barone dello zucchero cubano dell'epoca, Julio Lobo, lo finanziò con 50mila dollari», una mezza fortuna all'epoca. Per non dire di quanto scrisse lo stesso Fidel, il 3 luglio del 1956 sulla rivista universitaria Bohemia in cui, quello che poi sarebbe diventato il dittatore comunista più longevo del XX secolo, accusava Batista di essere lui sì un comunista! «Qual è il diritto morale che ha Batista per parlare di comunismo quando lui stesso era il candidato presidenziale del Partito Comunista nelle elezioni del 1940 scriveva Fidel Castro che all'epoca negava ogni tendenza sinistrorsa - quando i suoi slogan elettorali si nascondevano dietro la falce e il martello e quando mezza dozzina dei suoi attuali ministri e collaboratori più intimi sono membri del Partito Comunista?».
Insomma, se queste sono le fondamenta ideologiche libri di storia alla mano - di chi negli ultimi 50 anni è stato un modello per la ricerca dell'uomo nuovo e della società egualitaria fondata sul marxismo, allora non stupisca che Fidel Castro abbia vissuto da nababbo lasciando quasi un miliardo di dollari in eredità alla sua progenie.
Così come non deve stupire nessuno l'annuncio fatto da suo fratello Raúl che, dopo quasi 60 anni, dal prossimo 24 di febbraio, Cuba non sarà più governata da un membro della famiglia. Tranquilli, non cambierà proprio nulla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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