Giù la maschera

Fin che il posto fisso va

Il posto fisso, che nell'immaginario collettivo coincide con il lavoro in un ente pubblico

Fin che il posto fisso va

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Fin che il posto fisso va

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Il posto fisso, che nell'immaginario collettivo coincide con il lavoro in un ente pubblico, è sempre stato un sogno. Ora il governo lo sta trasformando in un incubo. Per sfatare luoghi comuni e vecchie immagini fantozziane (non a caso il set della Megaditta era il Palazzo della Regione Lazio) ha deciso di varare «Capovaro vado?». «Vadi, vadi...» una delle campagne pubblicitarie peggiori della storia della pubblicità, al netto di Open to Meraviglia. La sconsigliamo anche ai disoccupati. Come direbbero i nostri figli usando un'espressione che non si può sentire: «Non si può vedere».

Comunque. Lo spot è interpretato da Lucia, una giovane donna, architetto comunale, la quale in modalità selfie story racconta una giornata tipo al lavoro, fra autisti di autobus comunali, geometri comunali, assistenti sociali comunali... Nella realtà si chiama Federica ed è un funzionario dell'Agenzia delle Entrate a Brescia con la passione della recitazione, nulla di fisso, insomma.

Mission della campagna: far scoprire il valore di lavorare per la collettività. Claim: «Più che un posto fisso, un posto figo». Che non è neppure l'aspetto peggiore della pubblicità, perché il testimonial è Orietta Berti, pettinata come Orietta Berti e vestita come Orietta Berti: pubblico, pubblicità e paillettes. Evitiamo citazioni ironiche del tipo Fin che la banca va. «Il mito del posto fisso è superato», è il messaggio. Come canterebbe lei, Io ti darò di più.

Il precariato a vita.

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