La forza delle cose

La forza delle cose
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A un mese dall'inizio del conflitto, il 17 marzo 2022, teorizzai che il possibile sbocco per salvaguardare l'Ucraina era l'ingresso di Kiev nella Ue. Qualche Solone allora pose il problema dei tempi di adesione, dei criteri di valutazione e una serie di riserve che si scontravano con l'enormità della tragedia. Ora che la guerra ha fatto migliaia di morti tutti sostengono che i tempi della pace sono più importanti della burocrazia. La ragione si fa sempre largo ma ci vuole tempo. Solo che il moltiplicarsi dei drammi purtroppo logora le soluzioni prospettate ieri e le rende insufficienti per l'oggi.

Se lo stare in una Ue che non ha un suo esercito non basta più di fronte all'espansionismo russo a Paesi come Svezia e Finlandia, membri da parecchio tempo, al punto da spingerli a entrare nella Nato, figurarsi se Kiev non intravvede nell'Alleanza l'unica polizza che possa garantire il suo presente e il suo futuro. È la forza delle cose. Lo abbiamo scritto il 7 ottobre scorso: l'unica garanzia che avrebbe indotto Zelensky alla pace è l'ingresso dell'Ucraina - come partner o membro -, nel Patto atlantico. Anche in quel caso le obiezioni dei Soloni di professione si sono sprecate. Ieri l'ottimo Biloslavo sul Giornale ha spiegato che Kiev rifiuta il cessate il fuoco perché ora aiuterebbe una Russia in difficoltà, ma nel contempo è convinta che l'unico modo per garantirsi un domani sia l'appartenenza alla Nato e che la tregua passi per l'accettazione russa di questa condizione.

Certo sarebbe un boccone amaro per Putin, ma gli potrebbe andare peggio. Che la situazione sul campo si sia fatta per Mosca problematica è chiaro a tutti. Gli sfoghi di Prigozhin lo dimostrano. I russi per ora hanno conquistato il 55% del Donbass, ma potrebbero perdere terreno. A quel punto sarebbe difficile per Putin anche sul piano interno giustificare migliaia di vittime senza risultati. Come pure solo l'ipocrisia può nascondere che al di là delle forme e dei meccanismi burocratici, Kiev è già nella Nato: basta guardare chi gli fornisce armi, consiglieri militari, intelligence e campi di addestramento per i suoi soldati. Senza contare che un simile epilogo è scontato nel tempo.

In fondo per Mosca riconoscere una realtà di fatto anche sul piano formale, se aprisse la strada ad un cessate il fuoco in un momento difficile, sarebbe una scelta razionale. Inoltre l'ingresso dell'Ucraina nella Nato condizionerebbe Zelensky: «fuori» dall'Alleanza può decidere e gli altri debbono andargli dietro; «dentro» sarebbe vincolato dalle politiche dei partner.

Mosca, quindi, deve valutare se gli conviene avere a che fare con il nazionalismo viscerale del battaglione Azov, o con la razionalità della Casa Bianca, il pragmatismo del Pentagono e il cinismo di Langley. Del resto il Cremlino ha sempre chiesto di trattare con Biden. E negli anni della guerra fredda in Europa non si è mai combattuto. È la forza delle cose.

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