
Il disagio. Le misurazioni e il drone che si alza in volo.
Sono passati 18 anni ed è come se fosse il primo giorno. O quasi. Arrivano gli specialisti dell’Arma, Giuseppe e Rita Poggi lo sapevano, ma l’impatto è sempre molto forte. In qualche modo insostenibile, come tutto in questa storia troppo grande, troppo dilatata, troppo e basta. «Passeranno le nuvole - ripete al Giornale il papà di Chiara dobbiamo resistere». La conclusione è ancora oltre l’orizzonte, il dolore si alimenta con la legna dei troppi ricordi che le tv mandano in onda a getto continuo.
Giuseppe e Rita escono di casa, lasciano campo libero ai tecnici che provano a catturare dopo tanto tempo le macchie di sangue, le traiettorie delle gocce e tutto il resto. Uno studio già fatto e che ora, come tanti dettagli in questa vicenda, viene riproposto. Immaginando uno scenario e responsabilità diverse.
La mamma di Chiara, Rita Preda, aveva già detto un netto e chiaro «ora basta», in un’intervista al Corriere della sera la scorsa settimana.
Si riferiva naturalmente alle voci, ai sussurri, ai veleni su Chiara, a presunti amanti segreti e alle infinite suggestioni del caso. Ora affiora la stanchezza ma anche l’irritazione perché il nuovo blitz è avvenuto in diretta mediatica. «L’accordo che era stato preso prevedeva che l’ispezione avvenisse in modo riservato - spiega Poggi - ma così non è stato. Ancora una voltai giornalisti hanno preceduto gli inquirenti».
Il comunicato degli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna sottolinea proprio la fatica della famiglia, costretta a convivere con telecamere e taccuini, anche nei momenti più delicati, anche quando si era concordato un percorso diverso. «Anche questa mattina, come sempre in passato - si legge nel testo - i genitori di Chiara hanno aperto le porte della loro casa agli inquirenti, come era stato loro richiesto per le vie brevi».
Potrebbe sembrare l’incipit di una nota collaborativa, ma non è così e il seguito ha un altro tono: Giuseppe e Rita « ancora una volta sono rimasti amaramente sorpresi nel riscontrare che il relativo decreto di ispezione era stato reso immediatamente disponibile alla stampa e non a loro, in un contesto nel quale la procura di Pavia si era formalmente impegnata a garantire la riservatezza della verifica investigativa».
Per una ragione o per l’altra, il patto è saltato. E la distanza fra i Poggi e gli investigatori è ormai un dato che nessuno può nascondere. Questo rende ancora più difficile la lettura di quel che sta accadendo.
«Cosa vuole che le dica conclude Giuseppe Poggi del resto non potevamo fare diversamente», e certo i Poggi non si sarebbero mai messi di traverso all’autorità giudiziaria.
Sette ore in mezzo ai laser scanner e a tecnologie sofisticate, impiegate per riprodurre in 3d la casa di Chiara.
Si vedrà. Lo sforzo è apprezzabile, ma la famiglia Poggi non condivide più i nuovi spunti e le teorie elaborate, per quel che trapela, dai pm di Pavia. «L’assassino di Chiara è Alberto», hanno sempre ripetuto i genitori della ragazza uccisa il 13 agosto del 2007.
E non si sono più spostati da quella convinzione, maturata fra dubbi e perplessità, dopo i primi giorni di apparente condivisione della tragedia. «Da mattina a sera c’è Garlasco ovunque - aveva detto Rita al Corriere - sono così stanca, quando finirà tutto questo?». Una domanda a cui per ora nessuno vuole rispondere.