Cronache

Gertrude, "l'assassina della porta accanto"

La storia delle brutali torture e dell'omicidio di Sylvia Likens a opera di Gertrude Baniszewski: affidata alla vicina dai genitori, morì desiderando di rivedere il padre

Gertrude, "l'assassina della porta accanto"

Era per tutti “la ragazza della porta accanto”, come il titolo del romanzo e del film ispirati a quanto le accadde. Una ragazza da colpire, ferire, mutilare, umiliare. Da portare alla morte per ematoma subdurale, choc e malnutrizione. La vicenda dell’omicidio di Sylvia Likens - definito, come riporta l’IndianapolisMonthlyil crimine più terribile mai commesso in Indiana” - ha forse modificato molte cose negli Stati Uniti a livello culturale: che la presunta vittima minorenne di un maltrattamento va ascoltata e creduta, che le apparenze ingannano e che il male può celarsi anche tra chi ha ricevuto una persona in affidamento e dovrebbe prendersi cura di lei.

Sylvia Likens è morta il 26 ottobre 1965 per mano di un gruppo di persone, capeggiato dalla vicina Gertrude Baniszewski, una torma di propri coetanei, di ragazzini più giovani, di bambini di 10 anni, che l’hanno torturata in vari modi: affamata e disidratata, con la pelle incisa da un ago rovente, costretta a fare bagni in acqua bollente, picchiata a mani nude, con una pagaia o una cintura, costretta a inserire bottiglie nella propria vagina, umiliata e terrorizzata, sottoposta a continui traumi cranici, segregata in una cantina dopo che diventò incontinente. “Molte persone hanno paragonato questo al Signore delle mosche - ha detto l'avvocato Natty Bumppo - Ma quello era solo un gruppo di bambini incontrollati. In questo caso, avevano un adulto che supervisionava quello che stavano facendo. Non erano bambini che si scatenavano. Erano i bambini che facevano quello che gli veniva detto”.

Aveva solo 16 anni Sylvia, che era stata affidata a Baniszewski, dai genitori Lester e Betty, insieme a un’altra figlia, Jenny, che aveva una gamba malfunzionante dopo aver contratto la polio da bambina. I Likens erano giostrai: di solito portavano i loro figli con sé nei propri viaggi, o li affidavano ai parenti, in particolare Sylvia e Jenny, pensando di tutelare così la loro salute. Quella volta, mentre Lester era in partenza e Betty detenuta temporaneamente per taccheggio, i Likens affidarono le loro figlie più fragili a una semisconosciuta, la madre di una compagna di scuola di Sylvia. “Noi - disse Lester al processo - abbiamo parlato, e lei ha detto che si sarebbe presa cura dei bambini e li avrebbe trattati come se fossero suoi”. Credettero di fare del bene i Likens: ai loro occhi Gertrude era una donna devota, non mancava mai a una messa e mandava i figli alla scuola domenicale. Le offrirono 20 dollari a settimana per tenere nella sua casa le proprie ragazze. Che si trasferirono nella dimora Baniszewski il 4 luglio 1965. Per loro, anche se non immediatamente, si spalancarono le porte dell’inferno. È insolito che le porte dell’inferno abbiano un indirizzo: 3850 East New York Street di Indianapolis, nell’Indiana.

Il movente

Gertrude Baniszewski era all’epoca una donna di nemmeno 36 anni con 7 figli, il più piccolo aveva solo 1 anno. Aveva sposato un uomo violento, con cui rimase per 10 anni, per poi divorziare, sposarne un altro per alcuni mesi, divorziare ancora e tornare sposata per un periodo con il primo marito. Al terzo divorzio aveva iniziato una relazione con un uomo molto più giovane, dal quale era rimasta incinta e che l’aveva abbandonata dopo il parto. Di lei si disse che la frustrazione relativa alla propria vita sentimentale fu la molla che fece scattare l’odio e la violenza verso Sylvia Likens.

Sylvia era una giovane piena di vita, intelligente e bella. Gertrude, ma anche le sue figlie, pare ne detestassero le possibilità future. A Sylvia furono addebitate varie accuse, tra cui quella di essere una ragazza libertina o addirittura una prostituta, e di essere rimasta incinta a causa di un rapporto prematrimoniale. Queste accuse furono smentite in sede di autopsia: l’imene di Sylvia era l’unica cosa rimasta intatta del suo corpo dopo essere stata torturata per mesi.

L’esplosione della violenza pare sia iniziata due settimane dopo che le giovani Likens varcarono l’uscio di casa Baniszewski. Il pagamento pattuito da parte del padre, benché comunque arrivasse sempre, iniziò a tardare di uno o due giorni. “Be’ mi sono presa cura di voi piccole p… per una settimana senza avere nulla in cambio”, disse Gertrude a Sylvia e Jenny prima di dare il via a quell’escalation di violenza cieca che si protrarrà per mesi portando alla morte la 16enne.

La tortura e l’omicidio di Sylvia Likens

Dopo non aver ricevuto in tempo i pagamenti, Gertrude picchiò con le pagaie sia Sylvia che Jenny. Le violenze fisiche si concentrarono poi sulla prima, ma su Jenny furono riversate minacce e violenze psicologiche: la sorella minore fu anche costretta a picchiare la maggiore o ad assistere alle torture su di lei sotto minaccia.

Ciò che fu fatto su Sylvia fu orribile. Tra le violenze, fu costretta a mangiare e bere cose disgustose, come il proprio vomito, l’urina e le feci del figlio minore di Gertrude. Fu colpevolizzata quando disse di aver avuto un fidanzatino, tanto che le fu inciso con un ago sul corpo la frase “Sono una prostituta e orgogliosa di esserlo”. Inoltre fu denudata costretta a masturbarsi di fronte a tutti in soggiorno con una bottiglia.

Alle torture della famiglia Baniszewski, Gertrude e i suoi figli, che vi parteciparono in gran parte, si unirono presto i ragazzini del vicinato. Tra gli estranei alla famiglia c’era Coy Hubbard, il ragazzo di Stephanie - con Paula, che all’epoca era incinta, una delle figlie maggiori di Gertrude. Coy picchiò ferocemente Sylvia, che aveva diffuso a scuola la voce che Stephanie e Paula fossero prostitute. Gli altri ragazzini del vicinato pagarono 5 centesimi di dollaro a testa per assistere o partecipare alle varie torture.

Sylvia avrebbe potuto essere salvata? Ci provò, ci provò eccome, ma senza successo, perfino poco prima di morire. In un’occasione ricevette la visita dei genitori, cui però non potè comunicare ciò che stava subendo, per via della presenza di Gertrude. Quando mamma e papà se ne andarono, Gertrude le disse: “Che cosa farai ora, Sylvia? Ora che se ne sono andati?”. Qualche volta le ragazze Likens incontrarono casualmente la sorella maggiore Dianna, che inizialmente credette che le giovani stessero esagerando. Una volta però chiese lumi a Jenny, che le rispose: “Non te lo posso dire, o finirò nei guai”. In casa Baniszewski vennero anche i servizi sociali su ordine della scuola, ma gli fu detto che Sylvia era scappata, mentre a Dianna, che provò anche a entrare fu detto che era stato dato ordine dai Likens di non far ricevere visite alle figlie.

Poco prima di morire, Sylvia fu costretta a scrivere una lettera in cui spiegava di essere stata sottoposta alle violenze da parte di alcuni ragazzi con cui aveva avuto rapporti intimi. Il piano consisteva nel fatto che Jenny avrebbe dovuto portare la sorella nel bosco per lasciarla morire. Sylvia udì il piano e cercò di scappare: per tutta risposta, giunsero per lei le ultime violenze, quelle del 25 e 26 ottobre 1965. Le sue ultime parole furono: “Vorrei che papà fosse qui”.

Dopo morta, Gertrude accusò Sylvia di aver finto di morire, ma quando si accorse che non poteva più essere fatto nulla, chiamò la polizia, inscenando parte del suo piano grazie a quella lettera. Gertrude mise in atto con la polizia la pantomima del dire e del non dire: accusò specificamente Coy Hubbard e i ragazzini del vicinato, cercando di non far ricadere le accuse su di sé ma una frase della giovane Jenny, appena sussurrata agli inquirenti, li indusse ad arrestarla insieme alla sua famiglia e poi via via alle altre persone coinvolte nel massacro di Sylvia. “Portatemi fuori di qui e vi dirò tutto”, sussurrò Jenny ai poliziotti. Finalmente erano giunti i salvatori, ma per Sylvia era troppo tardi. L’autopsia, oltre alle cause di morte, le riscontrò 150 ferite, diverse bruciature e distacchi della pelle.

Le condanne

Il processo si svolse nel 1966, mentre conferme o sconti di pena avvennero successivamente. Gertrude fu ritenuta colpevole di omicidio di primo grado e inizialmente condannata all’ergastolo: ha scontato 20 anni di galera, uscendo nel 1985: ha cambiato il nome in Nadine Van Fossan (il suo nome da nubile) ed è morta di cancro nel 1990. La figlia Paula fu condannata per omicidio di secondo grado, e ha trascorso 7 anni in prigione: ha cambiato nome e iniziato a lavorare in una scuola, dove è stata licenziata per non aver dichiarato i propri precedenti. L’altra figlia Stephanie in galera non ci ha mai messo piede, perché ha deciso di collaborare con gli inquirenti. Il terzogenito John, 12 anni all’epoca dei fatti, ha trascorso 2 anni in riformatorio: da adulto è diventato un ministro laico. Gli altri figli di Gertrude non furono ritenuti coinvolti nelle torture oppure troppo piccoli per essere giudicati da una corte.

Solo due dei giovani vicini di Gertrude furono condannati a pene lievi, solo 2 anni. Uno era Richard Hobbs, che aveva collaborato nell’incisione con un ago bollente sul corpo di Sylvia, e l’altro era Coy Hubbard, che, tra le altre cose, aveva gettato Sylvia dalle scale e usata come manichino per allenarsi nel judo. Hubbard è rimasto a vivere nell’area di Indianapolis, non ha mai cambiato nome, ma ha perso il lavoro quando è uscito “An American Crime”, film basato sulla mattanza di Sylvia Likens con Catherine Keener nel ruolo di Gertrude e Elliot Page in quello di Sylvia.

A 40 anni esatti dal delitto - il film è del 2006 - gli americani riscoprirono l'orrore.

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