Cronache

"Così hanno provato ad imporre il gender a scuola"

Non si spegne la polemica sulle linee guida pro gender diramate dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio e poi ritirate. La denuncia dei genitori: "Così hanno cercato di imporci il gender a scuola"

"Così hanno provato ad imporre il gender a scuola" Esclusiva

"Ci siamo sentiti presi in giro". Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp) di Roma e del Lazio, è ancora incredulo. I dubbi lui li aveva avuti sin da subito, ben prima che le ormai famose linee guida pro gender, diventate un vero e proprio caso politico, venissero sconfessate urbi et orbi. "Mi è sembrato strano che un documento così ideologizzato venisse proposto alle scuole, per di più in un momento storico in cui c’è un ampio dibattito sull’argomento".

Il riferimento è al ddl Zan. Non ancora legge, eppure espressamente annoverato in calce al vademecum diramato nei giorni scorsi a tutti i dirigenti scolastici della regione dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio (Usr). Scorrendo le linee guida, pubblicate su sito dell’Usr e poi rimosse, viene citato "il disegno di legge del 2005, approvato il 4 novembre del 2020 dalla Camera dei deputati e noto come norma contro l’omotransfobia". A questo punto, la sensazione che il vademecum sia un modo per aggirare l’iter parlamentare, anticipando cambiamenti radicali non ancora cristallizzati da una legge dello Stato, diventa certezza. "Chi ha diramato le linee guida si è almeno preoccupato di leggerle?", si chiede Maria Rachele Ruiu, membro del direttivo di Pro Vita & Famiglia, la Onlus che ha fatto esplodere il caso. La richiesta, adesso, è: "Chi ha sbagliato paghi".

Nel frattempo, il vademecum è stato sconfessato sia dall’ospedale San Camillo-Forlanini che dalla Regione Lazio, i cui loghi sarebbero stati utilizzati "senza alcuna autorizzazione" dal Servizio per l’adeguamento tra identità fisica e identità psichica (Saifip), che lo ha elaborato in collaborazione con GenderLens e Agedo. Insomma, usando le parole di Rusconi, quello che è arrivato nelle mani dei presidi di Roma e Lazio sarebbe un "documento taroccato". "Quando anche all’Ufficio scolastico regionale se ne sono resi conto, hanno ritirato le linee guida e sono rimasti molto dispiaciuti, si sono sentiti ingannati", racconta il presidente dell’Anp, descrivendoci così il sentiment di chi ha diramato il documento alle scuole.

Maria Rachele Ruiu sul punto è decisamente meno clemente. "Sarebbe bastato leggere le prime righe, quelle in cui si dice che il concetto di binarismo sessuale è superato e va sostituito con un approccio più fluido, per rendersi conto che quel documento, così come era stato concepito, non sarebbe dovuto circolare". La Ruiu, che è anche mamma di due bimbi, è preoccupata: "A chi affidiamo i nostri figli? Possibile che le istituzioni si muovano con una simile superficialità e faciloneria? Invece di limitarsi a guardare i loghi, avrebbero dovuto fare degli approfondimenti e soprattutto avvisare noi genitori. Ci hanno scavalcato".

Noi abbiamo provato a chiamare ripetutamente il Saifip, per cercare di capire come si sia venuta a creare questa situazione. Purtroppo però i tentativi sono andati tutti a vuoto. Non siamo riuscite neppure a metterci in contatto con la psicologa Maddalena Mosconi che, sempre al Saifip, è responsabile dell’area minori. I telefoni squillano a vuoto per ore ed ore. Fino a qualche giorno fa, la dottoressa Mosconi raccontava a La Stampa la bontà del progetto: "È il primo documento di questo tipo diffuso in Italia nel rispetto dell’autonomia scolastica, sono consigli, indicazioni pratiche, con l’obiettivo di tutelare gli studenti che sentono il bisogno di presentarsi al mondo in base al sesso percepito". Oggi parlare con lei è diventata un’impresa.

Ma cos’è il Saifip? Consultando la loro pagina Facebook scopriamo che si tratta di un servizio convenzionato con l’ospedale San Camillo-Forlanini che dà sostegno e consulenza alle persone che chiedono la "rettificazione di attribuzione di sesso". Un percorso riconosciuto dal nostro legislatore con la legge 164/1982. Tra le collaborazioni vantate dall’equipe interdisciplinare che opera nell’area dedicata alla diagnosi della disforia di genere c’è anche quella con la Tavistock & Portman Clinic di Londra. Il nome vi dice qualcosa? È la clinica finita al centro di uno scandalo mediatico per aver diagnosticato in modo a dir poco affrettato la disforia di genere a migliaia di minori.

"Stando a quello che si legge su La Verità, il numero di minori arrivati al San Camillo con una sospetta disforia di genere è aumentato del 150 per cento nei primi tre mesi di quest’anno, vorremmo sapere a quanti di loro il Saifip ha confermato la diagnosi", ci spiega Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita & Famiglia. "Inoltre – continua Coghe – ci domandiamo se sia normale che un servizio diagnostico e clinico in convenzione con il San Camillo faccia propaganda politica diffondendo sui suoi canali social ufficiali immagini che ritraggono alcuni dei suoi componenti alla manifestazione a favore del ddl Zan".

Proprio così, il profilo Facebook del Saifip è un tripudio di bandiere rainbow, e scorrendolo tutto si rintracciano anche le foto di cui parla Coghe. Prendere parte ad una manifestazione, sia ben chiaro, non è certo un reato, anzi, è un sacrosanto diritto. Il fatto che questa scelta di campo venga però promossa da un centro che lavora in convenzione con il nostro servizio sanitario, qualche perplessità invece la desta.

Soprattutto alla luce del caso delle linee guida pro gender finite nell’occhio del ciclone.

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