Coronavirus

Il governo rischia il crac sui conti

Il governo rischia il crac sui conti

Ore 17 di ieri pomeriggio, Dario Franceschini esce da Montecitorio dal portone di via della Missione e si trova davanti un'ambulanza con un operaio che si è sentito male e due infermieri che lo stanno soccorrendo: tutti con la maschera d'ossigeno. Il capo della delegazione del Pd al governo tradisce l'apprensione, più che giustificata nei giorni del coronavirus: «Qui c'è poco da scherzare». Dentro la Camera c'è chi si mostra preoccupato e chi, invece, non risparmia le battute. «Meglio non fare il tampone sbotta Marco Marin, forzista padovano perché se qualche deputato risulta positivo, con le regole che hanno fissato, ci chiudono tutti dentro Montecitorio e ci tengono in quarantena». Mentre Marcello Gemmato, farmacista e deputato di Fratelli d'Italia, ridacchia sul listino prezzi virtuale della Camera: «Il cialis è rimasto a 50 euro, mentre l'amuchina è arrivata a 100 euro».

C'è un disorientamento generale e l'atmosfera ricorda quella descritta da Edgar Allan Poe, nel racconto La maschera della morte rossa: un Palazzo chiuso in se stesso mentre il Paese è alle prese con la pestilenza. Tutti scacciano le polemiche a parole, tutti predicano l'unità nelle dichiarazioni, tutti sono prigionieri delle proprie contraddizioni, ma nella realtà sono pochi quelli che hanno la consapevolezza dei rischi che corre un'Italia in bilico tra emergenza sanitaria ed emergenza economica. Quest'ultima con dei risvolti come hanno sottolineato più volte nei vertici di governo i ministri dell'Economia, Gualtieri, e dell'Interno, Lamorgese ancor più pesanti della prima. Una condizione drammatica per un Paese paralizzato. Addirittura per il coronavirus si dà per scontato anche il rinvio del referendum sulla riduzione dei parlamentari previsto per il 29 marzo, visto che nelle prossime settimane nelle aree colpite dal virus non si potrà fare campagna elettorale. Il governo per ora resiste: «Bisogna vedere che succede» mette le mani avanti Franceschini, come pure il ministro grillino Federico D'Incà («non fasciamoci la testa prima del tempo»). Ma a parte la prudenza d'obbligo tutti danno per scontato il fatto che il referendum slitterà: «Certo che in queste condizioni sarà rinviato a data da destinarsi - scommette Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil ora in Liberi e uguali - per cui la legislatura è blindata, mentre il governo dovrà dimostrarsi capace di far fronte ad un'emergenza economica tragica. Qui il Pil è già a -0,5%. Ci vorrebbe unità, ma Salvini è un folle».

E già, l'algoritmo che descrive la situazione è spietato: non ci sono le urne all'orizzonte; il governo sulla carta dovrebbe essere blindato, ma dimostra ogni giorno i suoi limiti e la sua incapacità; sarebbe necessario lo spazio per una maggioranza ampia, che metta al sicuro il Paese in questa fase d'emergenza determinata da un'epidemia che ha fatto salire lo spread e mandato giù le Borse, ma nell'opposizione c'è chi è capace solo di reclamare elezioni che non ci saranno. In sintesi: siamo alla frutta e si va avanti con lo scarico di responsabilità. L'immagine dello scontro di ieri tra il premier e il governatore della Lombardia, cioè della Regione più colpita dal virus, è emblematico, con Attilio Fontana che lascia la riunione dei presidenti delle regioni con un vero j'accuse verso l'inquilino di Palazzo Chigi: «Non ero io in Tv mentre c'era un'emergenza, ma tu. Siete una banda d'incompetenti e di cialtroni». C'è voluta tutta la diplomazia del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, per convincerlo a tornare al tavolo. Il problema è che i nervi sono a fior di pelle anche perché Conte, dando la colpa del diffondersi del contagio al pronto soccorso di Codogno, ha arrecato un colpo all'immagine dell'intero sistema sanitario della Lombardia, un'eccellenza italiana. Le critiche del premier ieri campeggiavano sulla Cnn.

Così, l'allargarsi dell'epidemia, gli errori del governo nella comunicazione e l'emergenza economica (le province colpite rappresentano il 13% del Pil nazionale e il 2% del Pil europeo) sono diventati gli ingredienti di un cocktail letale pure dal punto di vista politico. Twittava ieri Franceschini: «Stop alle polemiche. In queste ore non c'è maggioranza e opposizione, destra e sinistra, regioni e governo. Solo l'emergenza. Il resto dopo». E «il resto» si riferisce ai dubbi che serpeggiano sia tra i giallorossi sia fuori (il leghista Garavaglia ha paragonato Conte a Cadorna, il generale della sconfitta di Caporetto), sulla reale capacità dell'esecutivo di affrontare un'emergenza, che visti i danni economici dell'epidemia, si protrarrà per mesi se non anni. Un'emergenza che secondo alcuni può essere affrontata solo da un esecutivo e da una maggioranza diversa, una maggioranza contro il coronavirus.

Una suggestione che con il peggiorare della situazione, con il governo che mostra i suoi limiti, aleggia sempre di più nel Palazzo. «Questi si lamenta la testa d'uovo leghista, Giancarlo Giorgetti se ne sbattono di una situazione che fa rinviare il referendum. Se ne sbattono le palle della democrazia. In un momento del genere ci vorrebbero i responsabili. Parlo di quelli veri!». Addirittura Valentino Valentini, uno dei collaboratori più vicini a Berlusconi, va ancora più in là. «Ci vorrebbe spiega un governo di unità nazionale ispirato al buonsenso, cosciente dei rischi». Mentre Renato Brunetta rimarca: «Più il governo è debole, più la situazione economica va in fibrillazione. Più è forte e più dà certezze».

Ovviamente, c'è chi da una parte, chi dall'altra farebbe le barricate contro un'eventualità del genere. A cominciare da Zingaretti sul versante del Pd, per finire alla Meloni che, sul versante del centrodestra, condiziona indirettamente non poco la politica di Salvini. Solo che lo slogan «elezioni, elezioni» fa a pugni in una fase come l'attuale in cui tutti sono chiamati alla responsabilità. «È l'ebetismo di destra» spiega sconfortata l'azzurra Deborah Bergamini, mentre nei panni del politologo il piddino Stefano Ceccanti si lascia andare a questa osservazione accademica: «In teoria, facendo ipotesi di scuola, dovrebbe essere Salvini, se fosse abile a proporre un governo di unità nazionale». Una congettura che ha una sua logica: in fondo è proprio il rifiuto della Meloni e di converso di Salvini ad essere disponibili a nuovi scenari, a nuovi equilibri, a tenere in piedi Conte, a rendere un governo incapace addirittura blindato. Ma non è detto che alla fine la realtà non si imponga. Ieri lo stesso Matteo Renzi ha inviato un messaggio a Fontana, reduce dallo scontro con il premier: «Se hai bisogno di qualcosa fammi sapere». Poi il leader di Italia Viva ha spiegato quell'sms ai suoi in questo modo: «Sono d'accordo che bisogna evitare le polemiche, ma dare in pasto ai media la sanità lombarda e litigare con Fontana che sa governare davvero, a me sembra un errore madornale.

Conte ha una grande occasione per dimostrare ciò che vale, ma se non ce la fa, volenti o nolenti, saremo chiamati a scegliere tra uno o due mesi tra un governo tecnico o un governone di alto profilo che abbiano la capacità di fronteggiare una crisi che mette paura».

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