Non si può riconoscere la Palestina che non c'è

Il riconoscimento di uno Stato non è un atto simbolico da affidare ai salotti progressisti, ma un passaggio concreto che comporta l'apertura di relazioni diplomatiche

Non si può riconoscere la Palestina che non c'è
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Gentile direttore Feltri,
dopo le parole di Emmanuel Macron, che ha parlato della possibilità di un riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina da parte della Francia, in molti, politici, opinionisti e persino qualche vescovo, si chiedono se anche l'Italia, con Giorgia Meloni al governo, non dovrebbe seguire l'esempio francese. Lei cosa ne pensa? Non sarebbe arrivato il momento di farlo anche da parte nostra?

Cordiali saluti
Gianni Tibaldi

Caro Gianni,
no, l'Italia non deve riconoscere la Palestina soltanto perché Macron ha detto che forse lo farà, compiendo quindi una mera dichiarazione di intenti. Non siamo un satellite della Francia, né un gregario che aspetta la mossa di Parigi per mettere la firma. L'idea che noi si debba adeguare ai francesi ogni volta che pronunciano un proposito e badate bene: solo questo ha fatto Macron, una dichiarazione d'intenti, lo ripeto, non un atto formale è il tipico riflesso provinciale di chi ha l'anima colonizzata. Noi siamo un Paese sovrano, con una linea autonoma. Non ci serve un permesso da parte dell'Eliseo per esercitare il buonsenso. E il buonsenso, caro mio, in questo caso suggerisce prudenza. Perché il riconoscimento di uno Stato non è un atto simbolico da affidare ai salotti progressisti, ma un passaggio concreto che comporta l'apertura di relazioni diplomatiche. Domanda: con chi dovremmo aprirle, queste relazioni? Con Hamas? Con un'entità che lo ricordo a chi ha la memoria corta ha fatto irruzione nei kibbutz israeliani lanciando razzi, sgozzando civili, prendendo in ostaggio bambini, stuprando e seviziando donne? Con un'organizzazione che è sulla lista dei gruppi terroristici dell'Unione Europea? Riconoscere oggi lo Stato di Palestina, senza sapere quale sia il suo governo legittimo, quale sia il suo confine, quale la sua capitale e soprattutto senza che vi sia una chiara rinuncia alla violenza da parte dei suoi rappresentanti, è un atto che non ha nulla di pacificatore. È semplicemente una concessione politica a chi adopera la violenza come arma ideologica.

Inoltre, come ha giustamente osservato il presidente Meloni, questo gesto non aiuta la pace: la sabota. Perché dà ragione, sul piano diplomatico, a chi invece dovrebbe essere chiamato alla responsabilità.

È questa la pace che vogliamo incoraggiare? Quella unilaterale, ipocrita, che premia il ricatto e la minaccia? Allora tanto vale abolire i negoziati e alzare bandiere in piazza.

Concludo con una nota che a molti sfugge: quando si riconosce uno Stato si assume l'onere di trattarlo come tale. Questo implica accordi, trattati, ambasciate, cooperazione.

Ma noi, oggi, con chi tratteremmo? Con Abu Mazen, che non controlla nemmeno Ramallah? O con Hamas, che controlla Gaza e manda i bambini a morire per filmarli in diretta?

A me pare che in tutto questo entusiasmo da corteo studentesco manchi l'essenziale: la realtà. E la realtà, caro Gianni, non si cambia con le intenzioni di Macron.

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