Una guerra sempre più grande

Yavoriv è un nome sulla mappa e la speranza è che non segni una storia irreversibile, da tenere a mente

Una guerra sempre più grande

Yavoriv è un nome sulla mappa e la speranza è che non segni una storia irreversibile, da tenere a mente. È una cittadina che non arriva a tredicimila persone, lungo la rotta mercantile che va da Jarosaw a Leopoli. È l'ultimo avamposto ucraino verso occidente. Il confine con la Polonia è a due dozzine di chilometri. Un tempo era conosciuta per le acque sulfuree e per una feroce caccia agli ebrei nell'aprile del 1943, di 3500 ne sopravvissero forse venti. Adesso se ne parla per la base militare dove vengono addestrati i soldati ucraini. Gli istruttori sono europei e americani. È di fatto un centro reclute della Nato. È da qui che passano le armi per sostenere la difesa ucraina. Una trentina di missili russi hanno scavato e distrutto l'area di questo «International Center for Peacekeeping and Security». L'azione di Putin non è solo diretta a sradicare un obiettivo militare. È un messaggio non difficile da interpretare. È un altro segnale lungo la strategia che non esclude l'imponderabile. È un altro gradino sulla strada di quella che viene definita «escalation».

Questa guerra si allarga sempre di più. Si cominciano a contare i morti stranieri, come il giornalista americano Brent Renaud, come gli stessi istruttori della base di Yavoriv. È un fuoco che divampa e ci si chiede se c'è qualcuno che sappia davvero dove e come fermarlo. Il conflitto potrebbe inoltrarsi nel territorio sconosciuto delle armi non convenzionali, dalle armi chimiche al nucleare, lì dove tutto può succedere. Putin ha dichiarato che in risposta a atti ostili dell'Occidente scatterebbe il sistema di deterrenza russo. Questo significa l'uso dell'atomica. Il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha ricordato che la terza guerra mondiale sarebbe devastante. La sensazione è che la Russia voglia testare la paura degli occidentali, evocando un'apocalisse che non risparmierebbe neppure Mosca. La domanda che continuano a mettere sul tavolo è: «si può morire per Kiev?». È questo il gioco psicologico che accompagna le trattative di tregua. La resa dell'Ucraina sarebbe, secondo i russi, per il bene di tutti. È lì, dicono, che passa la strada per la pace. Putin così costringe la diplomazia a una sorta di roulette russa. È un gioco pericoloso che poggia sul peso, e la misura, del bluff putiniano. Gli Stati Uniti e l'Europa possono sperare di soffocare economicamente la Russia, alzando il livello delle sanzioni e spingere, con il buon senso e la paura, la Cina a uscire dall'ambiguità. Non è facile, ma a questo punto bisogna scommettere sulle fragilità della Russia. Putin è convinto che la Nato non muoverà mai guerra.

È chiaro, si può dire per metafisica, che non può permetterselo. Su tutto il resto però non si può lasciargli quartiere, sopportando i costi economici, casa per casa, di una guerra che sta diventando troppo grande per fermarsi da sola.

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