La Guzzanti colleziona solo flop e diventa la brutta copia di Grillo

Il film sulla "trattativa" è stato un disastro e la sua società finisce in rosso. Dai complotti agli insulti, la parabola della comica che non fa più ridere

La Guzzanti colleziona solo flop e diventa la brutta copia di Grillo

Gregor Samsa si risvegliò mutato in uno scarafaggio, Sabina Guzzanti in un Grillo. È cominciato tutto roteando una spada. Poi lei stessa, come il comico genovese, è diventata un manganello umano.

Dicono che impugnare un'arma possa dare un'ebbrezza di onnipotenza non facile dominare. A Sabina Guzzanti la katana brandita in quella scellerata puntata di Raiot del novembre 2003 ha deviato la vita professionale e politica. Chi la apprezzava come imitatrice spietata, si trova spiazzato: la trasmissione è un noioso comizio anti berlusconiano infarcito di luoghi comuni e fatti noti ma spacciati per «verità nascoste dai telegiornali», come il fatto che l'Italia si trovasse al 53° posto nella classifica della libertà di stampa, informazione il cui occultamento, chissà perché veniva dimostrato da Raiot mandando in onda ben 4 minuti filati della seguente gag: un quiz condotto da Francesco Paolantoni che chiede «a che posto è l'Italia nella classifica...?», il concorrente esita per un tempo televisivamente infinito e poi non indovina. Risate. O no? La puntata contiene anche un attacco frontale a Mediaset, cioè a una tv concorrente e il Cda Rai chiude la trasmissione. Attenzione: il consiglio d'amministrazione vota all'unanimità contro il programma, incluso il presidente Lucia Annunziata. E in seguito la comica se la prenderà con Claudio Petruccioli, il parlamentare dei Ds all'epoca presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai. Ma naturalmente l'episodio viene consegnato alla feroce pubblicistica della seconda Repubblica come un nuovo «editto bulgaro» del centrodestra.

Non si può prescindere da questo pezzo di storia per capire la Sabina Guzzanti di oggi, i suoi occhi strabuzzati, le smorfie, le invettive fuori controllo su Twitter, gli sproloqui sgangherati su Facebook, le bordate di insulti, spesso infarciti di riferimenti velenosi all'aspetto fisico, la deriva estremistica di ogni aspetto della sua vita artistica, gli insuccessi, sempre denunciati come frutto di complotti ai suoi danni.

C'è una Sabina pre Raiot e una post. Quella puntata, ultima prestazione tv premiata dagli ascolti, più che la sua cancellazione, segna l'inizio di un incupimento che negli anni successivi soffocherà ogni ricordo delle risate bipartisan suscitate dalle sue imitazioni e i suoi travestimenti della prima ora, Berlusconi, il Dalemone. «Non ho più voglia di ridere», dice a Michele Santoro la nuova Sabina. Come sorprendersi allora che i telespettatori non ridano più alle sue esibizioni?

Oltretutto la showgirl romana ha finito per ritrovarsi su un palcoscenico affollatissimo, quello dei comici anti Cav, in una fase in cui il numero non è più così di moda, con il leader di Forza Italia fuori dal governo. Ed è qui che inizia l'ultima, progressiva metamorfosi di Sabina: la grillizzazione. Ormai è conclamata, ma i segnali si potevano cogliere per tempo. Forse si poteva intervenire, fare qualcosa per salvarla. C'erano tutti i sintomi.

Il gioco ambiguo tra satira e informazione. «Tutti vogliono darmi lezioni su come si fa satira», protesta lei di fronte alla pioggia di critiche. Già perché se dichiara di non inseguire più la risata ma il risveglio delle coscienze, la Guzzanti senior non rinuncia affatto al diritto di chiamare satira le approssimative informazioni di cui infarcisce i suoi interventi. È così che ottiene di far archiviare la querela intentata da Mediaset per le accuse mosse senza un filo di ironia dal palco di Raiot : era satira.

I complotti da ridere. È proprio la tecnica che ha fatto la fortuna di Beppe Grillo, riempire il suo blog e i suoi spettacoli di informazioni vaghe, fantasiose teorie dietrologiche, denunce di complotti, ma vestirle da show satirico, anche se non fanno ridere. La seconda Repubblica fu l'epoca dell'informazione-spettacolo, nella terza va di moda lo spettacolo-(dis)informazione. Invertendo i fattori, il prodotto diminuisce, ulteriormente, di livello. E, nel caso di Sabina, anche di successo. Clamorosa la topica della Guzzanti sulla Xylella fastidiosa, il morbo che sta attaccando gli ulivi pugliesi. Sabina sforna una teoria campata in aria sul fatto che la malattia sia sostanzialmente fabbricata a bella posta da una multinazionale per distruggere gli antichi olivi italici e sostituirli con Ogm: è la «trattativa Stato-Monsanto». La prova? Il batterio è stato fabbricato da una branca della multinazionale che ha un nome rivelatore “Alellyx”, l'anagramma di Xylella... Peccato che la società si chiami così proprio perché nata per studiare la Xylella, che esiste da molto prima. Le fonti ballerine. Chi ha rivelato le segretissime trame del complotto anti olio a Sabina? «Un agronomo che studia il fenomeno da 11 anni». L'agronomo batte la multinazionale uno a zero. Meglio comunque della fonte degli studi di Sabina sulla prostituzione: «Chi va a mignotte lo fa perché pippa (cocaina, ndr )», comunica a un'attonita piazza Navona, in un famoso comizio a Roma. La fonte: «Me l'ha detto un ex tossico». Ah, beh.

I soldi. I grillini sono fissati con il denaro, le spese e la loro rendicontazione. Un terreno su cui il M5S si è impantanato e spaccato. Sabina ha fatto peggio. Mentre tuonava contro i capitalisti nostrani, «basta dargli soldi pubblici che loro portano all'estero», affidava i propri denari al «Madoff dei Parioli», un truffatore che li investiva in Lussemburgo e alle Bahamas. Un'ingenuità che ha pagato cara: 573mila euro. Ha ammesso l'errore ma sui soldi continua a inciampare, proprio come i deputati dell'M5S sui maledetti scontrini. La sua società, Secol Superbo e Sciocco Produzioni Srl, ha chiuso l'ultimo bilancio con un rosso di 50mila euro, causa il flop nelle sale del suo ultimo film, La trattativa , ovviamente tra Stato e mafia complice Berlusconi, una vera ossessione dei grillanti. Che hanno crocifisso più di un loro eletto per questioni di soldi. Ecco perché Sabina ci ha tenuto a smentire Dagospia, ventilando querele (a proposito di libertà di stampa), sul finanziamento statale di 126mila euro per la pellicola, effettivamente mai concesso: «Non ho ricevuto nemmeno un centesimo di denaro pubblico». Di euro ne arrivano per la verità ben pochi anche dal botteghino. Il film incassa soprattutto critiche, sia cinematografiche che sui contenuti. Lo stesso procuratore che ha indagato sulla «trattativa», Gian Carlo Caselli, ci va giù duro: «Sviste e omissioni» abbonderebbero nel film, per di più «raccontate con tecnica da cabaret». Anche la difesa del diritto di Riina e Provenzano ad assistere alla deposizione di Napolitano non le vale grandi consensi nel fronte anti mafia: «I traditori delle istituzioni sono peggio dei mafiosi».

Gli insulti. «Se vuoi farti ascoltare devi esagerare», ha teorizzato la Guzzanti, sposando in pieno lo stile pentastellato. E fedele a questa filosofia ha eclissato il «vaffa» del collega Beppe. Ecco qualche esempio: «bastardo» a Gasparri, «ciccione» a Ferrara, «nemica dell'umanità» Maria De Filippi, «conduttore senza palle» al giornalista Rai Gerardo Greco.

Se questi sono i sintomi, la prognosi non è favorevole: Sabina è ridotta a fare un triste Tgporco su YouTube con la colletta, a denunciare gli scempi ambientali a Campomarino di Maruggio col «noto comico Pinuccio». Forse perché il trapianto di Grillo nel fisico di donna non è riuscito. Sabina, puoi farcela: esci da quel corpo.

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