Attacco hacker ai magistrati: come funziona la truffa

Alcuni magistrati hanno subìto un attacco hacker tramite WhatsApp: ecco cosa è accaduto e la denuncia della Corte dei Conti

Attacco hacker ai magistrati: come funziona la truffa

Gli hacker attaccano su più fronti, in questo periodo: a parte il pericolo che corre il nostro Paese come ha affermato il sottosegretario Franco Gabrielli, ne hanno fatto le spese alcuni magistrati ai quali sono stati rubati dati sensibili e la rubrica del cellulare grazie a una truffa che nasce su WhatsApp.

La Corte dei Conti denuncia

Da una notifica sul sistema di messaggistica più famoso e più utilizzato al mondo sono riusciti a "infettare" i cellulari di numerosi giudici fino ad arrivare alla magistratura contabile. La Corte dei Conti ha già presentato una denuncia alla polizia postale per l'attacco che è stato compiuto alcune settimane fa. Come scrive IlMessaggero, tra l'altro, è stato hackerato anche il numero di telefono del procuratore generale del Lazio, il dott. Pio Silvestri. Il problema, adesso, è cercare di ricostruire quali dati abbiano rubato i pirati informatici: si va dai dati sensibili personali fino a quelli che riguardano indagini e processi, certamente un problema non di poco conto.

Qual è la truffa

Non tutti conoscono il procedimento di cui si servono gli hacker per arrivare alle informazioni che vogliono: inizialmente fanno finta di essere una persona conosciuta con la stessa foto profilo e le stesse sembianze di chi si ha in rubrica (profilo ovviamente già hackerato). A quel punto mandano un messaggio al contatto in questione dicendo di aver inviato, per errore, un codice di sei cifre tramite sms, quindi un normale messaggio, e che lo rivogliono indientro. "Per favore, è urgente". L'utente, credendo si tratti del contatto amico, esegue l'operazione e cade in pieno nella trappola: a quel punto, gli hacker riescono a entrare nel telefonino del malcapitato potendo avere accesso a tutti i contenuti della chat, quindi foto, documenti e informazioni riservate. Da lì, a macchia d'olio, provano a truffare altri utenti con lo stesso metodo.

La scoperta

Il magistrato Silvestri si è accorto che qualcosa non andava quando ha sentito il collega che, teoricamente, aveva inoltrato quello strano sms con la richiesta del codice di sei cifre. Rimasto basito, ha spiegato che non era stato lui a inviare il messaggino e i due hanno subito capito che si trattava di furto di dati. A quel punto, la polizia postale ha raccolto le informazioni e le indagini sono tutt'ora in corso.

Non è la prima volta che si verifica una situazione del genere: anche se WhatsApp non è l'home banking, spesso e volentieri si trovano codici, password e username per accedere al proprio conto in banca e i pin di bancomat e carte di credito. Ecco perché tutti gli utenti dovrebbero eliminare i dati sensibili che vengono scambiati sull'app: in questo modo, i truffatori avrebbero quantomeno vita più difficile.

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