Gli stessi che lo inseguivano per arrestarlo, ora lo cercano per farsi guarire da lui. Al momento di lasciare la sua casa di San Pietro di Morubio, nella Bassa veronese - una villetta anonima e dimessa, mai intonacata, che non ha nulla in comune con le pretenziose dimore dei padroncini veneti - incrocio in giardino il maresciallo P.N., fino a un anno e mezzo fa in servizio alla Compagnia dei carabinieri di Legnago, oggi in pensione, che me ne parla con accenti di devozione. Eppure fino al luglio 1999, quando è uscito di prigione per l’ultima volta, Corrado Parmagnani, nato il 22 gennaio 1961 nella corte colonica qui di fronte, è stato tutt’altro che uno stinco di santo: «Tossicomane, delinquente, puttaniere. Nella vita ho fatto di tutto, non sono rimasto con le mani in mano. Però mai una rapina, perché non sopporto la violenza sui più deboli».
Che cos’è adesso, lo ha fatto stampare in una specie di diploma incorniciato alla parete di una stanza al pianterreno che rappresenta una via di mezzo fra una cappella e un ambulatorio, data la presenza del lettino imbottito con lenzuolo monouso di carta: «Non sono medico né ho alcuna specializzazione medica, non sono psicologo né psichiatra, non sono fisiatra né fisioterapista né pranoterapeuta, non so fare nulla, sono semplicemente figlio di Dio». E si vede: a destra il Sacro Cuore di Gesù, a sinistra il busto di padre Pio su una mensola, in un angolo San Michele Arcangelo e San Rocco che mostra la piaga sulla gamba, al centro la statua di San Francesco d’Assisi, vicino a quella della Vergine circondata da mazzi di fiori freschi: «L’ultima Madonnina che era rimasta, l’ho comprata subito anche se aveva il naso brutto e mi sembrava pitturata male». Era il 2003 ed era la prima volta di Parmagnani a Medjugorje, dove da allora è tornato periodicamente con torpedoni carichi di pellegrini, «ma sia chiaro che i pullman li ha sempre riempiti Lei, non io». Tutt’intorno immagini sorridenti: di beneficati, di madre Teresa di Calcutta, di defunti che ti scrutano pensierosi dai «luttini» stampati per il trigesimo. E poi coroncine del rosario, crocifissi, un flacone di talco Felce Azzurra, un tubo di crema Attiva della Just, una bottiglietta riempita d’olio. E santini, tanti santini, a mazzetti, da distribuire: del santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza, di madre Speranza di Gesù, di padre Attilio Coltri, della Rosa Mistica che sarebbe apparsa a Fontanelle di Montichiari.
Corrado Parmagnani parla sommessamente, come se avesse paura d’interrompere l’armonia interiore che deve aver raggiunto a prezzo di immani sacrifici, come se fosse sempre sul punto di scoppiare a piangere. Non vuol sentir parlare di dono, ma qualcosa di buono pare essersi concentrato nelle sue mani enormi, commisurate alla stazza da pugile, scarlatte fino al polso, «eritrosi» diagnosticherebbe un medico, «è come se dentro avessi il fuoco» traduce l’interessato. Le dita sono talmente grosse che sembrano in baruffa per poterci stare tutte nel pugno, ma quando comincia a muoverle ricordano per grazia e flessuosità quelle del pianista Arturo Benedetti Michelangeli. Sulla gamba destra del fotografo Maurizio Don, trasformato all’istante in cavia volontaria perché aveva vacillato cigolante al momento di rialzarsi da terra dopo alcuni scatti prospettici, ne ha usato solo due, pollice e indice, «qui sento tanti nodi nei tendini», e in effetti gli ultimi a tentare di scioglierli sull’altra gamba di Don furono i chirurghi ortopedici nel 2004.
L’indecifrabile personaggio vive ospite del padre, un ex ambulante, oggi vedovo e pensionato, che aveva cominciato da operaio in una fornace di mattoni. La madre è morta. All’esterno del villino, dove abita anche l’unica sorella, né targhette né indicazioni: solo «Corrado» scritto col pennarello su una striscia adesiva bianca incollata sotto il campanello del genitore. Chiama tutti per nome e per nome da tutti vuol essere chiamato. Vietati nella conversazione i pronomi di terza persona, «il rispetto nasce da qua», dice portandosi una mano sul cuore, «esistono solo il tu e l’io, il lei è stato inventato dagli uomini per buggerarsi a vicenda». Al telefono risponde a chi lo cerca - solo donne, nelle tre ore d’intervista - con una tenerezza tutta veneta fatta di «dòna», «buteléta mia», «tata». Dopo l’ennesima chiamata e l’ennesima esortazione, «il Signore ti dice: ama e perdona, lì c’è la guarigione», evidentemente non raccolta dall’interlocutrice, depone il cellulare, chiede scusa ed esce dalla stanza con le lacrime agli occhi.
Ha qualche titolo di studio?
«Ero in terza ragioneria. Mollai la scuola a metà anno, però i miei lo scoprirono solo quattro mesi più tardi».
E la mattina dove andava?
«A zonzo. Pensavo solo a farmi le canne e alle ragazze. Cominciai a ribellarmi a tutto e a tutti quando avevo appena 2 anni, dopo essere scampato alla meningite».
Come fa a ricordarsi che cosa faceva a 2 anni?
«Mi ricordo anche del tempo precedente, se è per quello. Ma lasciamo stare, non potresti capire. A 15 anni ho fumato il primo spinello. Poi per un decennio mi sono fatto di eroina e cocaina. Arrivavo a spendere 2-3 milioni di lire a settimana».
I soldi in che modo se li procurava?
«Fregavo i criminali che erano più criminali di me. Nel 1987 ho chiuso con la droga, perché m’ero stufato. Niente mi dava più soddisfazione».
Come superava le crisi d’astinenza?
«Non devi credere a quelli che incolpano della loro debolezza la famiglia e la società. È il drogato che sceglie. Ti fai perché ti piace farti. Perciò basta la volontà per uscire in cinque giorni dalla tossicodipendenza. Di punto in bianco mi trasferii a Ravenna, dove avviai una ditta per la compravendita di mobili e termosanitari. Ma dopo tre anni mi rovinai anche lì. Finì con un fallimento e tanti debiti, ma non ho danneggiato la povera gente, sta’ tranquillo. Solo le banche. Se potevo truffare quelle, lo facevo di tutto cuore».
Quante volte è stato arrestato?
«E chi se lo ricorda? La prima volta nel 1983 per cessione gratuita di sostanza stupefacente. Nel 1993 mi hanno persino arrestato per concorso in detenzione e vendita di armi da guerra. Solo che io vidi quell’arsenale per la prima volta al processo. Tre anni e 5 mesi in appello. Se facessi l’elenco degli ufficiali e dei marescialli che ce l’avevano a morte con me... Sono arrivato ad accumulare 11 anni di detenzione. Quasi 7 li ho passati alle seicelles».
Intende dire Seychelles?
«No, no. Proprio sei celle: Campone a Verona, Due Palazzi a Padova, via Burla a Parma, via Port’Aurea a Ravenna, Dozza a Bologna, Montorio Veronese. Conta? Quante prigioni sono? Hanno tentato di uccidermi. Quattro li ho mandati all’ospedale spaché (rotti, ndr). Non mi sono mai piegato davanti a nessuno. Solo davanti a lei» (indica la statua della Madonna).
All’uscita dal carcere che ha fatto?
«Due anni affidato in prova ai servizi sociali alla Fomet, qui in paese. Manutenzione delle pale meccaniche. Sceglievo i turni di notte per stare lontano da tutti. Una sera il mio caposquadra, Roberto, era piegato per terra dal mal di schiena. Ho visto dei colori strani sul suo dorso, ho appoggiato le mie mani... Mi piace poco parlarne. Vedo quello che una persona ha dentro. Sono cose particolari, private. Ecco perché quest’intervista non mi va».
Ormai sono qua. Vuol mandarmi via?
«Era come se ciò che avevo fatto l’avessi fatto da sempre, ma in un tempo senza inizio né fine. Al termine mi sono chiesto: dove corre la gente? dove va? che cerca? di cosa ha davvero bisogno? perché si affanna tanto se tutto è inutile?».
Sono le domande dell’Ecclesiaste.
«L’uomo si è sostituito a Dio. Per questo la società è al tracollo. Questa stanza è molto più di un confessionale, qui arriva gente a confidarmi segreti che non racconta nemmeno al prete. E la prima cosa che chiedo è: sei stufo di tutto, ma tu ce l’hai il fiato per inginocchiarti, ce l’hai questo coraggio? Perché vieni proprio da me che fiato non ne ho, ho due polmoni da buttar via, bucati dall’enfisema?».
Ma chi viene da lei?
«Persone di tutti e cinque i continenti e di tutte le religioni. Persone di tutti i ceti sociali: dal contadino che spala la merda di vacca a... chi metto in cima alla scala? i medici? gli avvocati? i calciatori? Anche preti, frati e suore. Persone che hanno solo bisogno».
Bisogno di che cosa?
«Di guarire. Hanno cefalee a grappolo, fuoco di Sant’Antonio, speroni sotto i piedi, tendiniti, epicondiliti, lussazioni, cervicalgie, labirintiti, lombosciatalgie, pubalgie, distrazioni dei legamenti, sindromi postoperatorie».
Parla come un ortopedico. Ha studiato medicina?
«Quarant’anni di vita sono stati la mia scuola. Non sopporto i libri. L’unico che apro è quello lì» (indica la Bibbia).
Però contro le patologie gravi le sue mani non possono fare nulla.
«Magari riesco a dare un po’ di sollievo a un malato di Parkinson. Ma per un paziente oncologico posso solo pregare. Poi ci si mette nelle mani di Dio e dei medici. Accettare il tumore è già un primo passo verso la guarigione o comunque verso la stabilizzazione della malattia. Tutti abbiamo paura di morire. Però io dico sempre che la morte bisogna meritarsela, pensa te. È un inizio. Bisogna conquistarsela vivendo, non lasciarsi spaventare dal domani. Il mio domani è oggi. Se vivo bene il presente, ho già preparato il mio futuro».
Crede d’avere qualche dono speciale?
«La vita. Il dono più grande. E più grande ancora è spenderla per gli altri. Tutti abbiamo questo dono».
Ma lei fa cose che altri non fanno.
«Il corpo è semplice. Muscoli, nervi, tendini. Come sbrogliare una raisa (radice, ndr). Che cosa c’è di così complicato? La postura non è un problema. È la conseguenza di un problema. Se una fascia muscolare s’infiamma, io mi storco. Tu hai un bel dire nell’ordinarmi: raddrìzzati. Quello che so l’ho imparato dai malati che vengono qui col passaparola, poveri disgraziati che da anni vanno in giro inutilmente alla ricerca di un sollievo. Per me i medici sono sacri. Però dovrebbero ritornare a toccare i pazienti».
Da che città arrivano i malati?
«Dall’Alta Italia, da Roma, dalla Sicilia».
Che cosa non può fare per loro?
«Non posso guarirli. Guarisce solo Dio. Sono una zappa che, se nessuno la usa, non serve a niente».
Sarebbe in grado di fornire nomi e cognomi di persone che possono testimoniare quanto sta dicendo?
«Vuoi mille Paolo? Vuoi mille Luca? Non so quante persone conosco. Ventimila?».
Mai un insuccesso?
«Gli insuccessi ci sono quando la persona non si fida di Dio. O per mia negligenza quando mi viene da scappar via».
Per quale motivo Dio, che secondo la teologia cattolica è bontà infinita, dovrebbe volere che un ateo non guarisca?
«Non ho detto senza fede. Ho parlato di una persona che non si fida di Dio. Da me vengono anche gli atei».
In che rapporti è con la Chiesa?
«Il parroco è stato qui ieri a benedire la casa. “Ma lei cosa fa?”, mi ha chiesto. Gli ho risposto: padre, ti do una spiegazione che non capisco nemmeno io».
Va a messa la domenica?
«Ci vado tutte le sere, alla Fondazione Madonna di Lourdes, a Cerea. È una comunità di accoglienza dove spero di ritirarmi a vivere per sempre».
Di che campa?
«Ho una pensione di invalidità, 450 euro al mese, per il pneumotorace. Non ho mai chiesto soldi a nessuno. A Paola, un’operaia che pativa da 30 anni per lancinanti mal di testa e ora sta bene, ho domandato: se avessi preteso 40.000 euro, tu me li avresti dati? “Subito”, mi ha risposto. Mi sono sentito morire. Guarda te che responsabilità ho verso chi soffre! Ma dei suoi 40.000 euro non avrei saputo che farmene. Vedi quei fiori ai piedi della Madonna? A volte le dico: Mamma, sono quasi appassiti, come faccio a comprartene di nuovi? E non passano le 2 del pomeriggio senza che arrivi in dono un mazzo fresco».
Quando sta male lei, a chi si rivolge?
«Non lo dico a nessuno. Di quello che ho io, non m’importa nulla. Mi hanno rovinato il fegato con l’interferone, ho le piastrine quasi a zero. Però se mi procuro un taglio, non esce sangue e la ferita si cicatrizza subito. Come me lo spieghi? Se esco di qua, mi manca il respiro persino per stare in piedi. Però se tu cadi, posso risollevarti da terra e portarti in braccio come se fossi una piuma».
Di quali malattie soffre la maggior parte delle persone?
«Depressione, solitudine, mancanza di spiritualità. Il male esiste. Potete far finta che non sia così, ma prima o poi vi raggiunge. C’è chi non riesce a vivere se la mattina non ascolta l’oroscopo. Siete pazzi? Vi fidate degli astrologi? L’amore, vi serve. Ma nelle famiglie d’oggi non c’è amore.
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