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Quei paladini a corrente alternata. La libertà? Non vale per tutti

La censura dei social contro il pezzo su Biden del New York Post non intacca i progressisti italiani. Che fingono di non vedere i pericoli per la libertà

Quei paladini a corrente alternata. La libertà? Non vale per tutti

Ho cercato disperato almeno un paio di righe. Un commentino di quelli che non si negano neppure ad una notiziola di secondo piano. Invece niente. I grandi giornali italiani stamattina hanno sostanzialmente ignorato un fatto che sarebbe (anzi è) degno di nota: quello della censura operata da Twitter e Facebook contro un articolo del New York Post.

Brevissimo riassunto, giusto per sapere di cosa si parla. Ieri uno dei più diffusi giornali americani (non un covo di cospirazionisti, per dire) pubblica una notizia sul figlio di Joe Biden, il buon Hunter, accusato di aver organizzato un presunto incontro tra il consigliere di una compagnia energetica ucraina, la Bursima, e il candidato democratico. Rivelazione legittimamente smentita dallo staff di Biden. Ma che se confermata metterebbe in difficoltà non indifferente l'ex vicepresidente, visto che ha sempre negato di aver parlato con il figlio di affari esteri quando era il braccio destro di Obama. Facebook e Twitter, letta la notizia, l’hanno sostanzialmente censurata. Il social di Zuckerberg ne ha limitato la diffusione, spiegando che la storia è oggetto di fact checking (lo fanno per tutte le notizie, pure quelle del New York Times?). Mentre Twitter ne ha vietato la condivisione, tirando fuori la storia della privacy e aggiungendo che le informazioni da cui nasce il pezzo sarebbero state estratte da un pc altrui: quindi si tratterebbe di una sorta di hackeraggio che viola le regole della community. Bene. Cosa mi dite allora delle campagne dei media liberal contro Trump? Le dichiarazioni dei redditi del presidente non arrivavano forse anch'esse da fonti “leaked”? E i dossier Falciani? E i Panama Papers? Non avete forse osannato ogni dì i vari Wikileaks e Snowden?

Simpatie o antipatie per Biden-Trump a parte, dunque, le scelte dei social network avrebbero dovuto scatenare un dibattito sulle libertà. Quella di espressione in primis, ma pure quella di stampa. Sarebbe stato il caso dedicare qualche minuto allo strapotere dei social e la loro influenza nel normale dibattito democratico. E invece niente. Eppure in nome della lotta alle fake news, di cui i media italiani sono paladini indiscussi, qui si rischia di imbavagliare chi non la pensa come i vertici delle grandi compagnie social. Chi decide che il pezzo del New York Post era “disinformato”?

Da parte dei giornali italiani ci si sarebbe attesi un po’ di attenzione in più alla vicenda. La (brutta) storia oggi riguarda la stampa americana, ma domani potrebbe arrivare fino in Italia. Come si sentirebbero Rep, il Corriere e gli altri se i social bollassero come “da verificare” i loro pezzi? Invece i media nostrani, in particolare quelli progressisti, si sono sostanzialmente limitati a riportare la notizia.

Senza approfondirne i possibili risvolti: paladini della libertà a corrente alternata.

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