A Roma, quella antica, erano pagate per piangere. Prima c'erano i trombettieri, poi arrivavano loro, le prèfiche, vestite a lutto, con i capelli sciolti, addolorate, sconvolte, si battevano il petto a ogni singhiozzo. A intervalli la corifèa, quella tra le prèfiche che aveva migliore voce, recitava l'elogio del defunto, poi tutte insieme cantavano la nenia al suono del flauto. Nessuno chiedeva loro di essere sincere, stavano lì per mettere in scena il dolore. Erano le professioniste dei funerali, specializzate in ipocrisia. Da un po' di tempo sono tornate. Il cadavere è la democrazia e moribonda è la libertà. Tutte e due assediate e stuprate da un'onda nera.
Non è che non ci siano motivi per piangere. La democrazia e la libertà non godono di buona salute, qui e nel mondo. I nemici della società aperta sono tanti, minacciosi, incavolati e stanno radunando tutti i demoni del passato. È un'onda, con tanti vecchi colori e chi dice che è solo nera cerca di evocare il solito nemico, il più scontato, quello che fa comodo. In Italia il fascismo è un usato sicuro, in qualsiasi modo uno lo prenda. È un'abitudine e ti evita di cambiare occhiali per fare i conti con la realtà. Sono passati più di settant'anni e non c'è verso di lasciarlo agli storici.
I libertari non hanno mai avuto bisogno di nemici, tutti quelli, a destra come a sinistra, che spalmano divieti, puntano l'indice, si sentono ogni santo giorno moralmente superiori e mettono all'indice le parole, non possono invece farne a meno. Senza un nemico non sanno chi sono. Senza un nemico non si riconoscono. È il male oscuro della res publica.
Le prèfiche non fanno eccezione. Adesso si strappano le vesti per la democrazia. Adesso si scandalizzano perché in giro è pieno di «odiatori». Adesso. Troppo tardi. La democrazia è stata sfregiata quando il voto in Italia è stato congelato per sfiducia negli elettori. Quando si briga per far cadere un governo, congiurando con Berlino e Parigi. Quando i voti non sono tutti uguali, ma dipende da chi vince. Quando si mette in discussione il suffragio universale. Il paradosso di questa storia è che chi piange la democrazia per troppo tempo ci ha sputato sopra. Solo perché si sentiva superiore.
Se i valori della società aperta sono fragili è perché qualcuno al suo interno li ha sbriciolati con un pensiero arrogante, ottuso, incapace di superare la logica binaria del Novecento, per cui c'è sempre un rosso e un nero, un guelfo e un ghibellino, un buono e un cattivo, un degno e un indegno. È così che l'avversario politico diventa un nemico da cancellare, con qualsiasi mezzo. Non basta confinarlo all'opposizione, ma è necessario renderlo indegno, marchiarlo, non riconoscerlo. È stato questo il senso più profondo dell'antiberlusconismo viscerale. Berlusconi da odiare. I suoi elettori da guardare con disprezzo, come i volti di un'Italia marcia, volgare e popolare, fino a definirli «non umani».
Magari è proprio da qui che si sono aperte le porte per gli «odiatori». Odiare non è più peccato. Odiare si può. Odiare può essere perfino una battaglia di civiltà. Il guaio è che quando sdogani certi sentimenti non è facile tornare indietro. L'antiberlusconismo è il padre di tutti gli haters. Sì, quelli che godono nell'insultare il personaggio pubblico per sfogare rabbia e frustrazioni. Il gioco è sempre lo stesso. Insulto per cercare il quarto d'ora di celebrità che la vita mi ha negato. I mascherati di Forza Nuova sotto la sede di Repubblica non si sono inventati nulla, sono figli di vent'anni di odio sdoganato. Come il branco di cittadini virtuali a Cinque Stelle che si muove sui social network a bastonare chiunque non la pensi come loro.
Vi è mai capitato? Provateci. Basta poco. Molto meno di quello che è scritto qui. Un litro di insulti e diffamazione sotto forma di commento o via mail.È l'equivalente, meno invasivo ma comunque non gradevole, dell'olio di ricino.
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