I simboli della guerra

La guerra è anche simboli, narrazioni. È un palcoscenico tragico.

I simboli della guerra

La guerra è anche simboli, narrazioni. È un palcoscenico tragico. Immaginate quei duemila uomini rinchiusi nelle acciaierie Azovstal a Mariupol. Loro malgrado sono diventati l'immagine del bene e del male, della vittoria e della sconfitta. Sul piano militare, rintanati nei cunicoli sotterranei di quel vecchio complesso industriale, contano poco per non dire nulla. Dal punto di vista iconografico, invece, rappresentano molto. Al punto che Putin ha sospeso finora l'ultimo assalto con cui i tagliagole ceceni avrebbero dovuto chiudere la partita, perché sa bene che i martiri pesano più da morti che da vivi. Zelensky ha esortato più volte i sopravvissuti a resistere, dato che sui loro corpi vuole costruire l'epica della Fort Alamo ucraina. E, addirittura, Biden, al di là dell'Atlantico, ancora ieri pomeriggio stentava a credere che possano mai arrendersi: «Non ci sono prove».

Tanto parlare di una vicenda che sul piano strategico ormai significa nulla è quasi assurdo. Ma, appunto, la guerra non si combatte solo con i carri armati, con l'artiglieria pesante, i droni e i bombardieri. I simboli possono fare ancor più male. E i primi a saperlo non sono i generali ma i politici. Su episodi drammatici si sono forgiate le identità nazionali. I trecento delle Termopili diedero vita all'idea di una Grecia unita. Fort Alamo diede i natali all'epopea americana. I difensori delle acciaierie Azovstal, asserragliati in quell'esempio di architettura industriale sovietica, possono battezzare la nuova Ucraina, quella nazione che poco più di un mese fa lo Zar considerava un pezzo di Russia o, al massimo, per usare l'espressione di Metternich sull'Italia, un'espressione geografica. Solo che se ci sono uomini pronti a morire per un Paese, l'equazione di Putin non vale più, non sta più in piedi.

Ecco perché quel posto insignificante sul piano militare ha un grande valore emblematico. Al punto di essere al centro dell'attenzione di tutti i protagonisti della tragedia ucraina da Putin, a Zelensky a Biden. C'è chi vuole esaltare quell'episodio e chi lo vuole spogliare di ogni sentimento, di ogni ideale. L'epilogo che più converrebbe a Putin sarebbe la resa nello scenario della parata della vittoria contro il nazismo del 9 maggio sulle macerie di Mariupol. A Zelensky la resistenza ad oltranza. Quello che, invece, lo Zar vorrebbe evitare è il massacro rappresentato in tutte le tv del globo, mentre al presidente ucraino dispiacerebbe vedere sui telegiornali le immagini di quegli uomini uscire dall'ingresso dell'acciaierie con le mani alzate.

Calcoli, teorie, speculazioni.

Al punto che si insinua un dubbio, o, comunque, un sospetto: che del destino di quegli uomini in carne e ossa non importi granché a nessuno. E in fondo la risposta è una sola: epica, coraggiosa, maledetta, sbagliata o di popolo, anche questa è pur sempre una sporca guerra.

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