Indagano Sala per un successo

Indagano Sala per un successo

G li concedono l'attenuante di avere «agito per motivi di particolare valore morale e sociali». Gli riconvertono i sei mesi di carcere in quarantacinquemila euro di multa. Gli riconoscono la sospensione condizionale della pena. Ma la sostanza, alla fine, non cambia. Giuseppe Sala, per il tribunale, è colpevole di falso materiale. Nel maggio 2012, quando era alla guida di Expo, fu lui a decidere di retrodatare il verbale di nomina della più importante commissione d'appalto dell'esposizione universale.

Fu lui, e solo lui, dicono i giudici. Il presidente della commissione, che era accusato anch'egli di falso, viene assolto «per non avere commesso il fatto». E assolti anche gli altri imputati per le gare truccate di Expo: «Il fatto non sussiste», dice il tribunale. A uscire con una condanna dal processo è solo il sindaco. Che emerge dall'aula visibilmente scosso. Tira il fiato, smaltisce la botta e, davanti alle telecamere, rivendica il proprio operato e contrattacca: «Una sentenza del genere allontanerà tanta gente per bene dall'occuparsi di cosa pubblica. Oggi qui si è processato il lavoro, e io di lavoro per la comunità ne ho fatto veramente tanto».

Sala non si aggrappa alle attenuanti, «è comunque una condanna». Sa che questa macchia in qualche modo condizionerà il suo futuro, anche se non porta alla sua decadenza dall'incarico, e anche se a novembre di quest'anno sarà tutto prescritto. Garantisce solo che andrà avanti fino alla fine del mandato da sindaco: «Continuerò il mio lavoro per i due anni che mi mancano. Di guardare avanti per il momento non me la sento».

Che la data sul verbale fosse falsa non ci sono dubbi. E nel processo è emerso con sufficiente chiarezza come in quei giorni convulsi, dopo essersi resi conto della incompatibilità di due membri della commissione, lo staff legale di Expo cercasse una soluzione che non bloccasse i lavori. «Sala si è trovato circondato da avvocati che hanno elaborato una soluzione assolutamente sballata», ha detto ieri uno dei suoi legali, Stefano Nespor. Ma è possibile che il futuro sindaco non si sia reso conto di quello che lo staff aveva combinato, e che gli veniva portato per la firma? «Sarebbe fare un torto alla intelligenza e alla esperienza del dottor Sala», ha detto nella sua requisitoria il pm Massimo Gaballo. Il tribunale è stato dello stesso avviso.

È la prima volta che un sindaco di Milano viene processato durante il suo mandato, e la sentenza di condanna rende questa primizia ancora più ingombrante. La vicenda processuale, verosimilmente, si chiude qui; la prescrizione del reato ripulirà la fedina penale di Sala, ma gli toglierà anche la chance di vedere riconosciuta la sua innocenza in appello: a meno che non sia il sindaco a rinunciare alla prescrizione. Ma sarebbe un gesto d'orgoglio ricco di controindicazioni.

Resta la storia di un processo anomalo, nato e cresciuto nelle spaccature profonde della magistratura milanese, di cui in qualche modo Sala si è sentito ostaggio e in parte vittima. La Procura aveva archiviato l'indagine, la Procura generale l'ha avocata e riaperta e, alla fine, ieri ha raggiunto l'obiettivo.

Non è escluso che anche tra i tre giudici che hanno emesso la sentenza vi siano state divisioni e che le attenuanti riconosciute a Sala siano il prodotto di una mediazione raggiunta a fatica. Ma, come dice il sindaco, «è comunque una condanna».

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