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Quei privilegiati che decidono di fare ammutinamento

Quei privilegiati che decidono di fare ammutinamento

C'è molta più umanità in quel calcio furioso di Balotelli milionario, insultato, discriminato, nero, bianco, non importa, che nell'urlo ingrato rivolto da un top manager neo assunto a un milione di euro al mese contro la propria azienda colpevole di non accontentarlo. Antonio Conte. Inter.

C'è molta più umana partecipazione alle cose terrene, a questa nostra vita fatta di gioie, tristezze, ingiustizie, errori, nelle infantili piccolezze di Balotelli ricco, nero, bianco, non importa, comunque imperfetto come noi, che nell'ammutinamento di un gruppetto di rivoltosi privilegiati chiusi in mutande dentro uno spogliatoio del San Paolo che dicono no, in ritiro non andiamo. I calciatori del Napoli. Come se il nero più famoso d'Italia, con la sua pelle e le sue rabbie, con le ingiustizie patite e mai sopite, calciando verso una gruppetto di razzisti in curva avesse impresso al pallone una parabola capace di costruire un ponte tra lui e noi. Tra il suo mondo affollato di Lamborghini, catene d'oro ma anche torti e sofferenze, e il nostro ingolfato di utilitarie in fila e code e treni e autobus che si schiantano, e acciaierie a rischio chiusura, e ventimila famiglie a spasso, e pompieri che salutano i figli alla sera e non li rivedranno all'alba.

Un ponte tra il piccolo mondo dei privilegiati di un ricchissimo sport e il mondo reale che il top manager Antonio Conte, perché altro non è agli occhi di un'azienda, ha dimostrato di non saper creare. In tempi juventini aveva offerto l'antipasto del suo pensare con l'infelice metafora «non si cena con dieci euro in un ristorante da cento...»; l'altra sera ci ha servito il pasto completo, criticando in piazza e frettolosamente l'azienda Inter che ogni mese gli garantisce molto più di quel pasto. Stessa ingratitudine, stesso scollamento per gli undici miliardari in mutande del San Paolo. Forse solo in parte attenuato dalla giovane età dei ragazzi, dall'euforia delle ribellioni di gruppo e dagli affondi taglienti del loro datore di lavoro nelle settimane precedenti. Ma anche lì, da capo. Sempre datore di lavoro era ed è De Laurentiis. Nel mondo reale non ci si potrebbe mai rivoltare così. Nel mondo reale il giorno dopo tutti a spasso. Via. Lontani. Come un pallone sparato in curva da uno dei pochi giocatori rimasti, in fondo, uguali a noi.

Nero o bianco non importa.

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