Inter, guerra civile tra tifosi Ma stavolta vincono i buoni

Inter, guerra civile tra tifosi Ma stavolta vincono i buoni

Il nostro meraviglioso pubblico. Quante volte avete letto, sentito, urlato questo repertorio di parole messe assieme per riempire la bocca o le righe di uno scritto, parole che non significano nulla. Ma decidono molto, troppo, tutto. Ma stavolta siamo al punto e a capo. Stavolta per colpa o merito di un libretto, un'autobiografia di un ventitreenne, chissà a fine carriera, forse, manderà alle stampe un'opera magna sulla propria esistenza tipo Guerra (molta) e Pace (poca), operetta di un calciatore poi, di uno che dovrebbe limitarsi a fare bene il lavoro suo e quello sa fare davvero bene, allora è scoppiata la bomba, la rivolta dei soliti noti, del manipolo di ultras, del popolo bue, che fatica a leggere una cartolina ma non si è perso le frasi del best seller nerazzurro, il popolo presente sempre e ovunque, in qualunque curva, in qualunque piazza, in qualunque manifestazione, perché la loro legge deve avere il sopravvento, è la prevalenza del cretino e chiedo scusa a Fruttero & Lucentini che a tutto pensavano scrivendo ma non a questa ciurma di imbecilli.

Ora la gente buona, la grande fetta del pubblico pagante, tifosi ordinari, padri di famiglia, militari e single, parenti e affini, insomma il tifoso duro e puro non ce la fa più. E si ribella non con le pietre, con gli insulti, con le minacce, repertorio della feccia di cui sopra, a Milano, Torino, Napoli, Roma, dalle Alpi al Cibali, ma fischiando, coprendo di proteste ululanti quei cori razzisti e violenti, mettendo in minoranza quella che da minoranza sta diventando maggioranza per niente silenziosa ma minacciosa e aggressiva.

Il caso Icardi è l'ultimo della serie vista, udita e segnalata nel sito di San Siro, memorabili il lancio di motorino, l'esplosione di bombe carta, lo scoppio di petardi e fumogeni vari, le partite a porte chiuse, le curve evacuate. Ma che calcio è diventato questo? Che gioco è? Dunque a Milano, per fortuna, per caso anche, è accaduto che la squadraccia di ultras abbia avuto il suo consueto, doveroso ma non esclusivo quarto d'ora di popolarità, minacciando un calciatore colpevole di avere scritto cose di fuoco contro quel club di gentiluomini che si raggruma dietro striscioni volgari, autorizzati non si sa da chi e legittimati anche da qualche bella gioia della società. Non è soltanto l'Inter a pagare dazio, è il sistema Italia che si fa riconoscere all'estero là dove i delinquenti esistono, resistono ma vengono messi all'indice davvero, non okkupano lo stadio, se al Bernabeu o all'Allianz Arena, se all'Old Trafford o all'Emirates qualcuno accende una candela viene individuato e messo al gabbio in minuti due, previo spegnimento del cero suddetto, non certo perché in Spagna, Germania o Inghilterra gli stadi siano frequentati soltanto da cavalieri e lord ma perché la gente si è stancata di dovere fare i conti con i manipoli che nulla hanno a che fare con il gioco, con lo spettacolo. Lo stadio non è una discarica, anche se alcuni impianti offrono questa impressione a turisti e no, il tifoso ha tutti i diritti di assistere, se la squadra sua vince brindi pure, se pareggia incominci a smadonnare se perde, trangugi pure tutti gli amari dell'osteria ma finiamola con le curve magnifiche, le scenografie sopettacolari, con i petardi e le minacce, con gli ultras che, come dice il nome della loro ditta, stanno oltre.

E allora ci restino, oltre, al di là dello stadio, aspettino fuori il loro turno, lascino al tifoso la gioia, a volte la rabbia, di vedere una partita di football. Grazie al libro di Icardi Sempre avanti. Indietro gli ultras. E che ci restino.

Tony Damascelli

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