Fini: "Covid? Perché siamo schiavi di un terrore irrazionale"

Massimo Fini: "La società del benessere non ammette la morte, per questo adesso abbiamo paura. Il futuro? Sarà fuori dalle città"

Foto di Ivo Saglietti
Foto di Ivo Saglietti

Nulla è cambiato e tutto è rimasto dov'era, in un caos ordinato: il divano rosso che ha accolto tante confessioni è sempre lì, così come le poltrone (su una di esse è appoggiata una maglietta con scritto "Onore al mullah Omar", il capo talebano morto nel 2013), le macchine da scrivere Olivetti appoggiate per terra e le librerie ordinate per argomenti. E poi tanti giornali, affastellati uno sopra all'altro: per terra, sui tavolini, sul divano. Il lavoro di una vita. Carta e inchiostro. E Gauloises rosse a cui strappare il filtro per succhiarne il contenuto. In questo spazio senza tempo ci accoglie Massimo Fini.

La nostra ultima intervista è del 2015. Tanto tempo è passato e tante cose sono cambiate. Eppure qualcosa è rimasto identico: la paura. All'epoca del terrorismo, oggi del coronavirus. Siamo una società di codardi?

Sì, perché è la società del benessere che ti porta a questo. La società del benessere, con tutta la sua ideologia (la ricerca della felicità, sancita nella Dichiarazione d'Indipendenza), non ammette la morte. Noi ragazzi del Dopoguerra non avevamo queste paure. E nemmeno gli adulti, che erano passati da esperienze così fondanti da non farsi impaurire da cose minori. Purtroppo oggi è diverso. E ciò non riguarda solo l'Italia, ma tutti i Paesi che hanno accettato il modello occidentale...

Ma come è possibile esser felici senza rischiare?

(Ride) È impossibile. Intanto, felicità è una parola grossa e non dovrebbe mai esser usata. Esistono rari momenti nella vita di un uomo o di una donna in cui si può esser felici, ma in genere la vita non è felice. I rari momenti di felicità li puoi avere solo se rischi qualcosa. Se te ne stai come un impiegato di banca (come cantavano i Gufi: "Io vado in banca, stipendio fisso") ed eviti tutto, vivrai una vita forse più lunga ma grigia.

Questa però sembra la direzione in cui si sta andando...

La paura da Covid è irrazionale. In Italia ci sono 35mila morti circa, lo 0.049% della popolazione italiana. Il rischio di morire per Covid è minimo e riguarda persone molto anziane e pochissimi giovani già malati. Il governo ha cercato di contenere l'epidemia e poi si è comportato coerentemente. Io avrei fatto una cosa diversa, ma tutti sarebbero dovuti essere d'accordo: l'epidemia infatti nasce quando c'è una sovrappopolazione. Noi non siamo tanti sulla terra (sette miliardi) ma, con il continuo andirivieni di persone, siamo in realtà molti di più. L'epidemia ha il compito di sfoltire la popolazione. È duro dirlo, è nietzschiano, ma la pandemia elimina i soggetti meno adatti e più cagionevoli.

Diversi commentatori hanno paragonato questa epidemia al disastro di Chernobyl. È davvero così?

La cosa inquietante di questa epidemia è che tu non sai quando finirà. Più la comprimi e più salterà fuori: è come una molla. Chernobyl è stata una tantum, mentre l'epidemia si trasmette in modo esponenziale. Se comprimi la molla poi tornerà indietro con la stessa forza. Con questo atteggiamento rischiamo di portarci avanti il virus per l'eternità e di vivere una vita dimidiata per un periodo lunghissimo, mentre l'epidemia, quando c'è, fa fuori chi deve far fuori e poi scompare.

È la cosiddetta "mietitura"...

Sì, anche se in questo caso è più complicato: se hai la peste, si vede che ce l'hai. In questo caso non si vede se hai il virus e puoi essere un trasmettitore. A te non fa niente, ma rischi di far ammalare qualcun altro.

Durante il lockdown si sono creati veri propri rituali, come il bollettino delle 18, che hanno avuto sulle persone un effetto tremendo.

Vero, ma ci hanno dato dentro anche i media, che hanno creato un clima di allarme permanente. Una cosa però mi sento di rimproverare al governo: quando si è capito che la cosa stava per arrivare, avrebbe dovuto implementare tutte le strutture sanitarie. E non l'ha fatto, determinando il caos dei primi tempi. La stampa però ha molto enfatizzato il tutto e ci ha messo molto tempo prima di capire che, forse, si potevano fare articoli su altri temi.

E poi ci sono stati anche i social...

...Come sai, io sono un anti tecnologico e, se governassi io, tutto queste cose sparirebbero. Per fortuna vostra però non governo io.

C'è chi ha detto che il coronavirus ha rappresentato la fine della globalizzazione. È davvero così?

Questa epidemia è globale perché i rapporti e le connessioni sono globali. Io non credo che taglierà le unghie alla globalizzazione, ma dovrebbe farci riflettere su questo tema. La globalizzazione è stata accettata da tutti. Mi ricordo un Wto del 1998 in cui Bill Clinton disse: "Non ci si può opporre alla globalizzazione". E il vecchio Fidel (all'epoca c'era ancora lui) disse più o meno la stessa cosa: "Opporsi alla globalizzazione è come opporsi alla legge di gravità". È vero, ma solo se tu prendi l'economia e la metti al centro del sistema. Io metterei al centro l'uomo e non l'economia.

Possiamo ancora permetterci di vivere in una società così?

Il coronavirus è un avvertimento di ciò che ci aspetta. È un avvertimento in scala minore di ciò che ci dobbiamo aspettare in futuro.

Il famoso cigno nero...

Magari fosse così: il coronavirus avrebbe avuto una funzione positiva. Ai miei occhi questo modello, quello della globalizzazione, non funziona, non ci rende più sereni. Tutt'altro.

Con il lockdown, però, si è messa la salute dell'uomo davanti all'economia, facendo così saltare l'economia. Ora ci troviamo con la gente che non sa come arrivare a fine mese.

Come canta Vasco Rossi, la vità è "un equilibrio sopra la follia". Qui finirà che la gente non morirà per il Covid ma per gli effetti collaterali delle scelte fatte. Anche per una questione psicologica. Chi è stato colpito dal Covid ha strascichi che lo seguono per mesi, ma anche chi è stato solo sfiorato dal virus vive in una situazione di crisi. Basta un colpo di tosse, uno starnuto e si dice "oddio". Bisognerebbe ricordare quello che dice il saggio Epicuro: "Muore mille volte chi ha paura della morte".

Come si può uscirne?

Prima o poi la gente sarà costretta a farsi coraggio. Non puoi continuare a vivere con la paura sulle spalle. Tanto vale tirarsi un colpo di pistola subito. Non puoi sopportare questa cosa a lungo, diventa deleterio anche per la salute a cui si tiene tanto.

Quindi non ne usciremo migliori, come si è detto nei mesi scorsi?

Le persone non sono abituate al fatto che si possa morire. Il fatto di esser stati chiusi in casa per due mesi, in persone più intelligenti e più sensibili, porterà a chiedersi se la vita ha un senso oppure no. Bisogna cercare di vivere il tempo che ci è dato. Il tempo è fondamentale, dobbiamo viverlo pienamente, pensando alle attitudini che uno ha.

Tu sei un "bulimico" della vita, ti sei mangiato la tua vita...

Sì, però prendi un attimo Una vita, apri l'ultimo capitolo e leggilo.

Massimo Fini
Foto di Ivo Saglietti

(Lo leggo ad alta voce).

E quindi fine...

Il MoVimento 5 Stelle aveva cercato di rappresentare una rottura. Ma ora pare esser diventato parte dell'establishment.

È un animale strano perché contiene fattori di sinistra e di destra. E ha anche delle cose sue. Grillo ha parlato di "tempo liberato", che non è il tempo libero. È il tempo per se stessi, per la riflessione, per fare le cose che ci piacciono. In questo senso il MoVimento 5 Stelle, una qualche speranza di rappresentare un cambiamento di paradigma te la dà. Io gli do una certa fiducia. Per carità, la diedi anche alla Lega di Bossi perché aveva una certa visione dell'Italia e dell'Europa, poi è andata come è andata...

A proposito di Europa, cosa pensi degli aiuti che Bruxelles ha fornito all'Italia?

La Merkel è stata molto brava perché è riuscita a farci avere 207 miliardi e a far tacere i cosiddetti Paesi frugali. Naturalmente, c'è il solito problema con l'Italia: a chi diamo questi soldi? Questi soldi devono arrivare alle persone ma è difficile quando si parla di Italia. Quando l'Europa ce li dà non presentiamo mai programmi e poi c'è sempre il motivato sospetto che diventino un fenomeno corruttivo.

I soldi europei però arriveranno nel 2021. Non è un po' troppo tardi?

Adesso dobbiamo tirare la cinghia e arrangiarci. Non siamo alla fame, ma dobbiamo resistere un anno. Anche questo fa parte di quei valori che sono pre-ideologici e pre-politici: il coraggio, l'onestà, la lealtà e la solidarietà.

Ci sono popoli che ancora conservano questi valori?

I tedeschi sono formidabili. Loro hanno valori, a volte anche sbagliati, ma li seguono. I Paesi del Sud - l'Italia e la pur amatissima Spagna - non li hanno. Noi non li abbiamo per niente.

Come mai?

Se pensiamo a quelli che chiamiamo popoli tradizionali - come quello afghano - ce li hanno dentro; se invece parliamo di popoli europei, è chiaro che li hanno, ma li esprimono in modo diverso. Il nostro problema è l'individualismo: non siamo un popolo. Mussolini ce l'aveva con la perfida Albione perché quello britannico è un popolo. Noi no. Siamo individualisti, possiamo esprimere straordinarie individualità ma non siamo un popolo. E questo nelle emergenze ha un valore forte.

Onore al Mullah Omar
Foto di Ivo Saglietti

Ma ci sono stati (sporadici) momenti in cui lo siamo stati. Penso, per esempio, a quanto successo dopo la disfatta di Caporetto: l'esercito italiano, davanti al pericolo di un'avanzata austriaca, ha cominciato a reagire e a vincere.

C'è un bell'aneddoto, raccontato da Montanelli: un siciliano sembrava fregarsene della guerra, poi arriva una granata vicino a lui e dice: Ammìa? E allora diventa un combattente. Tutto nella vita ha un dritto e un rovescio. Esistono anche le sfumature. Mussolini provò a fare degli italiani un popolo. Aveva un'idea di Stato e di nazione che ha cercato, coerentemente, di attuare. Un esempio minimo: la divisa. Era una cosa - mi raccontò una signora che visse quei tempi - che faceva sentire uguali. Se invece tu hai la griffe e l'altro non ce le ha, salta tutto...

Quella però non era solo uguaglianza. Era anche e, soprattutto, omologazione...

È il problema fondamentale della contrapposizione tra autorità e libertà su cui Dostoevsky ha scritto pagine nell'apologo del "Grande inquisitore" de I fratelli Karamazov. Noi istintivamente siamo per la libertà, ma la libertà è difficile da gestire e l'autorità ti toglie questo problema. Se si sceglie la libertà bisogna sapere che si pagano prezzi molto alti. In questi mesi tutte le libertà individuali sono state soppresse. Le persone si incazzavano, ma non facevano nulla.

Forse non sappiamo più cos'è la libertà...

Sì, ma la libertà non l'abbiamo persa ora. Il Covid però ha avuto questa funzione: ha reso palesi cose che erano rimaste nascoste. La libertà ha un valore che forse varrebbe la pena riconquistare. Secondo me la cosa più sgradevole di questa epidemia è che ci ha reso untori l'uno dell'altro...

Declinato nel quotidiano, l'idea di essere untori l'uno dell'altro è tremenda...

Sì, ma ci vuole anche un po' di buon senso. Non vorrei fare discorsi da vecchia zia, ma se vai in discoteca non sei coraggioso, sei un cretino. Puoi sfogare la tua energia in altro modo, e puoi corteggiare le ragazze altrove.

Ma si corteggiano ancora le ragazze?

(Sorride) Questo non lo so.

Diverse ricerche dicono che sempre più giovani sono spaventati dalle ragazze e che preferiscono "rimorchiare" sui social.

Questo però fa parte di un altro discorso: la donna è diventata troppo aggressiva e i maschi si prendono paura. Ed è quello che fa la fortuna di noi, vecchie ciabatte, che così possiamo avere ancora qualche ragazza. L'uomo è impaurito dalla donna di oggi. Mi diceva un mio amico psicologo che ha moltissimi ragazzi che arrivano da lui perché impotenti. Li manda dal medico e sono fisicamente perfetti. Anche in questo caso, i ragazzi vengono bloccati dalla paura. Bisognerebbe che i maschi tornassero un po' più maschi e le donne un po' più femmine, come ho scritto nel mio Di(zion)ario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina. Abbiamo una natalità dello zero virgola. Per pareggiare dovremmo avere due. I popoli mediorientali hanno il 2.5, quello africano il cinque. Per una questione fisica, prima o poi ci sommergeranno. Si possono fare politiche di incoraggiamento per la famiglia: la gente non fa figli perché deve garantire ai figli la palestra o altro. Ma i figli si fanno e basta.

Massimo Fini
Foto di Ivo Saglietti

Ma è anche vero che tanti non fanno figli perché provocano un cambiamento radicale nella vita.

Noi, come specie, siamo fatti per riprodurci. Se non ci riproduciamo spariamo. La natura ha elaborato le sue leggi in migliaia di anni. Un nobel fa magari una straordinaria invenzione, ma non è in grado di prevedere le variabili che mette in giro. E poi, come mi diceva il filosofo della scienza Paolo Rossi, la tecnologia quando ti risolve un problema te ne pone altri dieci più complessi. Non è che la natura faccia le cose a caso e anche questa epidemia lo dimostra.

Visto così sembra che non si possa uscire da questa crisi.

Esistono anche vie apparentemente senza uscite dove a volte avviene un crac che cambia tutto. Quando crollarono l'impero romano e le sue strutture giuridiche, crollò un mondo che però diede origine a un fenomeno completamente diverso: il feudalesimo europeo. Ecco, questo è quello che potrebbe accadere anche a questo tipo di società. A un certo punto collasserà e ci sarà qualcosa di nuovo. Quello che consiglio ai ragazzi è di comprare un cascinale, del terreno e di imparare a coltivarlo perché arriverà un momento in cui la gente di città non potrà mangiare asfalto e bere cherosene. Dico loro di munirsi anche di un po' di kalashnikov perché la decrescita non sarà felice. Sarà sanguinosa, una specie di lotta tra città e campagna.

Come mai allora tanti vengono ancora in città?

La città è attrattiva. Ma è una attrazione mortale.

Lo si è capito durante il lockdown, quando alla gente mancava l'aria.

Mi piacerebbe sapere quanta gente è stata contagiata in campagna e quanta in città.

Intanto però Milano è vuota. La gente non spende e si rischia il collasso della città.

Bisogna scegliere: il consumo indiscriminato è così importante? O è meglio scegliere le cose essenziali e lasciar perdere quelle superflue? Il decimo modello di smartphone è così importante? Si è invertito il processo: una volta si produceva per consumare, adesso siamo costretti a consumare per produrre. È una cosa che aveva notato anche Adam Smith: si era invertito il rapporto. Ma non dobbiamo essere lavandini o water da cui transita la merce per poi ricominciare il ciclo. È banale dirlo, difficile realizzarlo. Bisogna mettere l'uomo, con le sue esigenze reali, al centro. Si sono creati bisogni di cui l'uomo non aveva mai sentito il bisogno.

Pare che i bisogni "sovrastrutturali" abbiano fatto perdere i valori e i bisogni più semplici.

C'è stata una

diminuzione, al posto di una aggiunta. Una volta sono andato a intervistare uno scultore romeno che mi ha invitato a cena. Prima di iniziare il pasto diceva una preghiera perché non è per niente sicuro che il pasto ci sia sempre...

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