Intese volatili

Si dice: "Il diavolo si nasconde nei dettagli". E quando si parla di accordi e patti, questo detto è quanto mai vero

Intese volatili

Si dice: «Il diavolo si nasconde nei dettagli». E quando si parla di accordi e patti, questo detto è quanto mai vero. Ora ogni tentativo di mediazione per porre fine al conflitto ucraino deve essere perseguito. Anche il più generico, basta che consegua l'obiettivo primario del momento, cioè il cessate il fuoco. Subito dopo, però, c'è l'esigenza di raggiungere una pace stabile per evitare che dopo qualche anno tutto ricominci da capo. Per l'Ucraina è già avvenuto con gli accordi di Budapest e di Minsk. Anche allora c'era una serie di Paesi che avrebbero dovuto garantire il rispetto dell'intesa dal punto di vista politico. Ma qualcosa non ha funzionato.

Ora, con tutto il rispetto, lo schema su cui si sta lavorando e di cui si parla pure nelle stanze del nostro governo ha degli aspetti non convincenti sul piano dell'efficacia e, per alcuni versi, contraddittori rispetto alla direzione che la crisi ucraina dovrebbe imprimere all'impegno europeo. Per stare ai fatti: sembra che la Russia - il «sembra» è d'obbligo quando si parla di Putin - accetti tra i diversi punti di un ipotetico accordo pure l'ingresso di Kiev nell'Unione Europea. Con un limite però: l'Ucraina non dovrebbe usufruire dell'articolo 42, paragrafo 7 del trattato della Ue, quello che impegna tutti i Paesi membri ad assicurare aiuto ad una nazione dell'Unione Europea che fosse sottoposta ad un'aggressione. Un meccanismo simile all'articolo 5 del trattato dell'Alleanza Atlantica. I «garanti» dell'intesa dovrebbero essere, invece, un gruppo di Paesi che comprenderebbero i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu (Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Russia e Francia) più Turchia, Israele, Germania e Italia. Nazioni che dovrebbero imporre il rispetto dell'accordo non solo sul piano politico ma addirittura militare.

Ora, conoscendo la politica dei «veti» che ha depotenziato l'Onu, è evidente che questo enorme organismo di garanzia rischia di rivelarsi inutile sul piano pratico e per altri versi rischioso, visto che sarà esposto alle valutazioni di ogni singolo Paese che ne farà parte. Anche perché, magari sarà sfuggito ai più, lì dentro ci dovrebbe essere pure l'«aggressore» di oggi, cioè la Russia. E che lo schema non regga lo dimostra pure il fatto che ieri Londra ha rifiutato l'offerta di ricoprire quel ruolo.

È chiaro che sarebbe più efficace e più lineare che la «garanzia» dell'intesa fosse demandata all'Unione Europea, consentendo all'Ucraina di entrare nella Ue usufruendo di uno «status» uguale a quello degli altri Stati membri e non come figlia di un Dio minore. Il meccanismo sarebbe più facile, sperimentato e immediato. Tanto più che a vedere ciò che avviene sul campo di battaglia, il Paese da garantire non sarà l'Ucraina di oggi, ma quella che verrà fuori dal conflitto, visto che il Cremlino - spero di sbagliarmi - difficilmente darà indietro i territori che ha conquistato e su cui costruirà l'altra Ucraina, quella filo-russa.

In più, se l'Unione Europea come soggetto politico garantisse la sicurezza di Kiev come Stato membro, assumerebbe il posto che le compete, cioè di superpotenza continentale (con tanto di esercito

europeo) in quel nuovo equilibrio globale di cui i ministri degli Esteri russo e cinese ieri hanno evocato a Pechino. Sempreché la Ue, per l'inconsistenza e l'egoismo dei suoi membri, non voglia abdicare al proprio ruolo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica