Cronache

Investirono e uccisero Duccio Dini, confermate le condanne ai rom

La Cassazione ha confermato le condanne (rispettivamente a 25 e 7 anni di reclusione) per tre dei sette rom a processo a Firenze per la morte di Duccio Dini, mentre per gli altri quattro imputati è stato disposto il rinvio ad un nuovo processo d'appello: potrebbero potenzialmente beneficiare di uno sconto di pena

Una foto di Duccio Dini, scomparso nel 2018 a 29 anni
Una foto di Duccio Dini, scomparso nel 2018 a 29 anni

Condannati in via definitiva tre imputati, mentre per gli altri quattro c'è stato un nuovo rinvio alla Corte d'Appello. La Cassazione si è così espressa nelle scorse ore per quel che concerne il caso di Duccio Dini, il ventinovenne fiorentino che il 10 giugno 2018 perse la vita in un incidente innescato da un folle inseguimento tra rom fra le strade di Firenze. Sono intanto state confermate le condanne a venticinque anni di reclusione per Mustafa Remzi (l'uomo al volante della Volvo che investì il giovane) e sette anni per Kole Amet ed Emin Gani, con questi ultimi che si trovavano a bordo del furgone Opel Vivaro che partecipò solo alla fase iniziale dell'inseguimento a causa della foratura di una ruota.

Il percorso giudiziario non è però concluso, dato che la Cassazione ha deciso che per gli altri quattro imputati (che erano sì all'interno dei veicoli coinvolti, ma non alla guida) la pena dovrà essere ri-determinata. Questo perchè i giudici hanno riconosciuto il "concorso anomalo", che prevede una riduzione della condanna laddove si compia un reato diverso da quello voluto da uno dei concorrenti (in questo caso l'omicidio volontario) sotto il profilo del dolo eventuale. Kjamuran Amet, Remzi Amet, Dehran Mustafa e Antonio Mustafa, che avrebbero dovuto scontare venticinque anni di carcere, sono stati dunque rinviati alla Corte d'appello per un processo bis per il ricalcolo delle pene e potrebbero potenzialmente beneficiare di uno sconto di pena. Per una morte che secondo le accuse non fu solo una tragica fatalità, benì la diretta conseguenza dello scellerato comportamento degli imputati.

In base alla ricostruzione della procura, la faida tra rom macedoni fu provocata da un giuramento di fedeltà che Rufat Bajram (genero del capofamiglia Amet Remzi) aveva imposto alla moglie, filmandola con il cellulare e pubblicando il video sui social. Un'onta per i parenti della donna e in particolare per il capofamiglia, aggravata da uno scontro costato a Remzi un dente rotto. E che scatenò la rappresaglia: prima le minacce di morte da parte dei parenti più stretti poi, il giorno successivo, l'inseguimento. E a farne le spese fu proprio l'inconsapevole Duccio Dini, che ignaro di quanto stesse accadendo si trovò per puro caso proprio in mezzo ai contendenti, in quel preciso momento. Fu quindi colpito in coincidenza di un semaforo fece e l'urto lo scaraventò rovinosamente sull'asfalto, dopo un volo di diversi metri. Ricoverato d'urgenza a Careggi, morì la mattina successiva in un letto dell'ospedale. Una triste storia apertasi più di quattro anni fa.

E non ancora conclusasi del tutto.

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