"Italia, stai con noi"

Il presidente venezuelano: «Il vostro governo ci riconosca: per la democrazia e per gli oriundi»

"Italia, stai con noi"

San Paolo Per Moisés Naím, ex direttore della Banca Centrale del Venezuela e oggi famoso editorialista internazionale, inserito dal britannico Prospect nel 2013 tra gli intellettuali più importanti del pianeta, non ci sono dubbi. «Juan Guaidó rappresenta per il Venezuela la speranza».

Già perché questo ingegnere 36enne, con nel curriculum anche due prestigiosi master negli Stati Uniti, alla George Washington University e un padre costretto a fuggire in Spagna dove fa il tassista è riuscito finora in quello che la notoriamente frammentata opposizione venezuelana non era mai riuscita. E cioè a prendere di petto il regime, in nome della Costituzione e a giurare come presidente ad interim del Venezuela. Guaidó per Moisés Naím «è il prodotto di questa nuova generazione di leader, è giovane, è un volto nuovo, trasmette credibilità». Una sorta di Obama dell'America Latina. Un compito davvero difficile per quale Guaidó sta dando tutto se stesso tanto da aver persino perduto la voce nelle ultime ore e da rispondere, per questo, alle domande del Giornale per iscritto.

Dirigente del partito Voluntad Popular, deputato eletto nello stato venezuelano di Vargas la sua fama ha subito un'accelerazione nelle ultime settimane, quando da presidente - il più giovane nella storia del paese - dell'Assemblea Nazionale ovvero il Parlamento ha giurato lo scorso 23 gennaio da presidente ad interim del paese. Da lì in poi è stato un crescendo di notizie e fatti che hanno fatto dividere il mondo intero: o si sta con Guaidó o si sta con Maduro. Intanto i venezuelani, ormai quasi tutta la popolazione, anche gli esuli scappati all'estero, lo amano.

Sembra non avere paura di nulla Guaidó: «Se mi succede qualcosa possono tagliare un fiore ma non fermare la primavera. Abbiamo vinto la paura. Parlano di un presunto colpo di stato, ma io sono ancora qui ad esercitare le funzioni perché siamo inquadrati nella Costituzione, abbiamo il sostegno internazionale e un popolo coraggioso determinato a cambiare». «Qui non c'è paura di una guerra civile, perché il 90% del paese vuole un cambiamento. Nessuno in Venezuela è disposto a sacrificarsi per un dittatore che non offre alcun tipo di soluzione alla gente. Nei prossimi giorni - ha annunciato - nomineremo il consiglio di amministrazione di Citgo e chiediamo anche la protezione dei beni in Europa, in modo che non vengano rubati». E confida ancora tantissimo nell'aiuto del vecchio continente: «Nelle prossime ore raduneremo molti altri sostenitori dall'Europa. L'aiuto umanitario è una necessità. Nei prossimi giorni chiederemo il sostegno di tutte le persone che ci accompagneranno per cercare aiuti umanitari, affinché possano effettivamente entrare in Venezuela. Non sarà semplice». No, non sarà semplice, è lui stesso a dirlo ma questo non tarpa le ali al sogno venezuelano. «Speriamo che più non saremo mai schiavi di nessuno, che saremo un paese libero, che i nostri fratelli torneranno, che vivremo con il nostro stipendio». Tutte cose che oggi il Venezuela ha perduto.

Signor Presidente ad interim Juan Guaidó, cosa si aspetta che succederà nei prossimi giorni in Venezuela?

«Un risultato. In realtà, può essere questione di ore. Spero che il senso comune privi le forze che sostengono ciò che resta del regime di Nicolás Maduro, che sono diversi dagli alti comandi militari. Che si arrendano ai fatti, all'evidenza. Maduro non si può, né può essere tenuto al potere. Non c'è altro cammino oltre a quello della Costituzione. Realizzarlo e farlo realizzare in conformità alla rotta che abbiamo proposto: fine dell'usurpazione, governo di transizione, elezioni libere».

Quali saranno i programmi dei prossimi giorni e settimane per recuperare la democrazia e le istituzioni del Venezuela?

«Questa settimana abbiamo annunciato il Piano Paese. Una proposta che è stata coordinata dall'Assemblea nazionale (il Parlamento, ndr) con un gran numero di esperti venezuelani in diverse aree, al fine di riavviare la ripresa del Venezuela, a cominciare dal suo ritorno alla routine istituzionale».

Che messaggio dà agli italiani dopo che l'Italia non ha riconosciuto il Presidente costituzionale, con una decisione che ha fatto infuriare la comunità italiana in Venezuela?

«Nel raduno di massa a Caracas di ieri (sabato 2 febbraio, ndr) si sono espressi i rappresentanti delle varie colonie europee che vivono in Venezuela. Tra questi, ovviamente, quella italiana. Nella loro stima ci sono oltre due milioni di discendenti di italiani tra noi venezuelani. Come è accaduto lì dovunque sono arrivati, in Venezuela gli italiani hanno avuto un notevole impatto positivo sulla nostra cultura e in diversi settori della società e dell'impresa. Ci sono molti italo-venezuelani con un passaporto dell'Italia o con i diritti per averlo. Il governo italiano deve tenerlo presente e avere una responsabilità nei loro confronti, ma anche con la causa della libertà e della democrazia che noi difendiamo. A causa della sua storia contemporanea, gli italiani possono sentirsi molto identificati con ciò che accade in Venezuela oggi».

Quali sono le priorità in modo che la comunità internazionale possa portare aiuti umanitari alle persone sofferenti del suo Paese?

«Abbiamo annunciato l'inizio del processo di aiuti umanitari che partirà da tre punti diversi verso il confine venezuelano: attraverso la Colombia, il Brasile e un'isola caraibica. Questo è imminente. Abbiamo bisogno di tutto il sostegno della comunità internazionale per portare avanti questo compito complesso. Le priorità sono cibo e medicine. Ci sono molti venezuelani, in particolare bambini e anziani, che muoiono ogni giorno a causa della malnutrizione e della mancanza di cure adeguate per malattie curabilissime».

I paesi e i partiti politici che sono con Maduro o che non la hanno ancora riconosciuto sostengono che sarà un bagno di sangue e parlano di guerra civile. Può rispondere una volta per tutte perché invece non sarà così?

«Negli ultimi 15 anni, oltre 250mila venezuelani sono morti a causa della violenza. Abbiamo il più alto tasso di omicidi per 100.000 abitanti in America. In Venezuela, un bagno di sangue è già avvenuto. Negli ultimi giorni le forze di repressione che ancora rispondono a Maduro hanno commesso numerose violazioni dei diritti umani, incluse esecuzioni al di fuori di qualsiasi legge internazionale.

Se i governi del Messico, Uruguay e quelli europei vogliono contribuire onestamente a fermarlo devono unirsi al pressing politico e diplomatico per convincerlo a iniziare la transizione del Venezuela verso la democrazia.

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