La scelta di continuare a sostenere Kiev contro l'aggressione russa non era affatto scontata, perché non porta consenso facile, perché i costi si sentono, perché i tempi sono lunghi. È però qualcosa di profondo, rivendica un principio e dice che l'Italia crede nei valori della libertà e della democrazia. È una scelta di campo, di orizzonti, di futuro. Non è un giudizio divino, ma riconosce delle responsabilità. Putin ha voluto questa guerra e gli ucraini sono le vittime. Poi si può ragionare, da testimoni del tempo o da storici, sul perché si è arrivato a questo, sugli errori e sulle ragioni degli uni e degli altri, sulle paure e sulle debolezze, ma la posizione italiana non può essere furba o ambigua. La maggioranza di governo non ha tentennato. Ha portato in Parlamento una mozione chiara. Gli aiuti, non solo in armi, continuano. L'Italia fa parte di un'alleanza militare e se ne assume oneri e scelte strategiche.
Qualcuno pensava che all'interno del governo ci sarebbero stati scontri e defezioni. Così non è stato. È un segno di maturità. Questa giornata politica fa apparire in controluce anche una sorta di arco costituzionale atlantico, come fondamento della nostra politica estera. Pd e «terzo polo» non hanno votato contro la mozione del governo e hanno presentato un loro testo che in parte è stato riconosciuto come valido dalla maggioranza. Sono rimasti fuori da questo patto i Cinque Stelle e i partiti alla sinistra del Pd. È un fattore che va rilevato. Conte con il suo no all'Ucraina si propone di fatto come il leader anti Nato e vicino alle ragioni di Mosca. Lo fa, dice, in nome della pace, ma dovrà riconoscere che si tratta di un pacifismo a senso unico, che abbandona gli ucraini al proprio destino e li invita alla resa. Il senso è che Kiev deve inginocchiarsi a Putin, al suo regime, alle sue vendette, e rinunciare all'indipendenza. È, anche questa, una scelta di campo.
L'anti-atlantismo di Conte dovrebbe far riflettere il Pd. Cosa farà da grande? I tempi verso il congresso sono lunghi, ma prima o poi si capirà se i dirigenti di questo partito in cerca d'autore vogliono continuare a vedere l'ex premier come un punto di riferimento, un alleato potenziale. È chiaro che i Cinque Stelle non solo sono in competizione con il Pd ma puntano a dissanguarlo e a proporsi come alternativa radicale. Non vederlo significa negare la realtà. Il Pd poteva fare anche un passo più netto sull'Ucraina. Ha scelto l'astensione, per non innervosire l'ala pacifista del partito. Lo ha fatto per tattica e quieto vivere, per non riconoscere alla Meloni un ruolo di leader atlantica o per il solito cerchiobottismo.
Fatto sta che anche davanti a una questione di principio non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Su questioni profonde di politica estera in passato si è andati oltre le dinamiche di maggioranza e opposizione. Qui il sì è invece rimasto a mezz'aria, senza orgoglio.
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