Lavorare troppo distrugge la nostra anima

Lavorare troppo distrugge la nostra anima

Si dovrebbe lavorare poco è bene. «Poco» non vuol dire lo stretto necessario, ma significa comprendere quanto il tempo di lavoro entri in sintonia con i nostri sentimenti, con la nostra visione della vita. Lo stacanovista, colui che lavorerebbe ventisette ore - se ci fossero - non a caso è una figura inventata dal totalitarismo che annulla l'individuo nel nome della collettività, attraverso l'eccesso di lavoro fatto nel nome della società.

Ma anche il lavorare in modo esasperato per se stesso - eventualmente con alcune giustificazioni, per esempio nel nome della famiglia - è un'altra forma di alienazione che distrugge l'anima di una persona.

Quando sento dire da qualcuno che «non ha tempo» perché deve lavorare, i casi sono due: o è costretto da un ritmo di produzione che gli viene imposto e deve subirlo per non essere licenziato, oppure, se non è così, chi fa quell'affermazione è stupido, perché non sente, non percepisce, non comprende una verità assolutamente elementare: la vita è qualcosa di più, di magnificamente più complessa del lavoro, anche del lavoro che si è scelto e che si ama (cosa molto rara).

Senza scomodare la nostra civiltà classica che affidava il lavoro agli schiavi, perché il lavoro era considerato cosa da schiavi, la nostra società moderna, figlia di un'industrializzazione sempre più esasperata, ha finito per stravolgere il modello della classicità trasformando il lavoro come ciò che caratterizza l'essere umano. In quest'epoca post industriale e per nulla classica, non si potrebbe trovare una via di mezzo?

Lavorare poco è bene. «Bene» significa fare le cose con intelligenza e passione e poi saper staccare la spina, appunto perché è la vita a richiederlo. Si possono così curare i propri interessi, anche quelli che talvolta con una malcelata sufficienza si chiamano hobby, si sta in famiglia e si cerca di conoscere i propri figli, ci si libera dall'ossessione della prestazione lavorativa, dalla competitività, dall'angoscia di non essere all'altezza del proprio lavoro. Una pausa per amore della vita.

Quando si può decidere da sé è, appunto, una prova di intelligenza e di maturità comprendere quale sia il limite del tempo di lavoro e sapere in che modo organizzare il tempo libero, considerandolo come riposo vero e proprio, come formazione culturale, come miglioramento delle proprie relazioni. Ma prevalentemente non si possiede questa libertà di decisione, dipendendo da altri.

Allora deve intervenire la legge, anche obbligando al riposo, così come un genitore obbliga il proprio ragazzino ad andare a letto presto per non essere rimbambito il giorno dopo. Una persona adulta, se lavora oltre misura, rimbambisce, e non va bene né per lui né per chi lavora.

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