Politica

Quel leader sempre poco leader

Ha tirato avanti finché ha potuto, ha cambiato politica, ha rigirato le alleanze come un calzino, e alla fine i nervi sono saltati.

Quel leader sempre poco leader

H a tirato avanti finché ha potuto, ha cambiato politica, ha rigirato le alleanze come un calzino, e alla fine i nervi sono saltati. Ma chi me lo fa fare, io mi dimetto. Motivo superficiale? La questione non secondaria delle poltrone, strapuntini, ressa da apericena senza maschera pur di arraffare qualcosa. E fin qui siamo in politica politicante, di bassissimo livello ma quella è. Poi c'è la ragione vera, genetica. Nicola Zingaretti è un plebeo in un club, quello della sinistra post-comunista, con la puzza sotto il naso. Groucho Marx, che era un comico raffinato, diceva che non avrebbe mai voluto far parte di un club che accettasse gente come lui. Lui invece pensava di poter stare fra i velluti e i drappeggi di un preteso salotto buono, con un diploma da odontotecnico. Ma andiamo.

Lo avevano anche pregato, per cortesia, fallo per il partito anche se dovresti capirlo da solo, di andare alla Facoltà di Lettere, dove fra l'altro sono tutti compagni, e prenderti un accidente di laurea magari in storia del teatro azteco. Lui andò, fece di malavoglia tre esami diradati e mollò. Pensate che quando fu la volta di Massimo D'Alema che risultava non laureato, si fece però un bel po' campagna sul fatto che almeno il giovane resistente era andato alla scuola Normale di Pisa per fare qualche esame e lasciare un buon ricordo. Ma odontotecnico! E poi: con quel fratello. Il fratello di Nicola Zingaretti è Luca, il notissimo attore che incarna il commissario Montalbano. E Luca è più popolare di Nicola. Succede. Effetto tv, ma è anche bravo. Luca. Nicola, invece.

Insomma. Ieri ha gettato la spugna quando ha visto che non aveva più scampo, non ce la faceva più. E non solo per l'avidità umana dei politici del Pd che sono ormai dei veri piranha quando si tratta di arraffare un posto. Ma per il doppio salto della quaglia, guidato dall'anima nera, o rosso-giallo. Dell'operazione, ovvero Goffredo Bettini, l'uomo sopraffino che la sa lunga ma che ha mandato il camion a sbattere. Ricordiamo che il povero Zingaretti Nicola si era spinto a fare quella dichiarazione urlata che potete rintracciare su Internet, in cui scandiva in modo ossessivo che lui mai e poi mai e poi ancora mai, avrebbe fatto in vita sua un governo con i Cinque stelle. La fine è nota. Quando l'alleanza con la Lega cadde e Conte cambiò cappello presentandosi alle Camere come un primo ministro di estrema sinistra dopo essere stato quello di destra, il furbo Zinga aveva sostituito Salvini con sé stesso, ovvero il Pd.

Il pubblico, cioè l'elettorato letto nei sondaggi, era rimasto pietrificato. Ma non avevi detto? Sì, l'ho detto e lo ripeto, anzi lo nego, la vita è bella perché è varia. Buuu... Fischi dalle prime file fino alle ultime. L'elettorato non ha gradito, ma la dirigenza sì perché era arrivata finalmente l'ora della torta, anche senza candeline purché ne tocchi una fetta a testa. Poi, ecco che Matteo Renzi pianta una grana che anzi era una bomba ad orologeria ben confezionata: fa marameo a Conte, ritira le ministre, ripiega il sottosegretario e fa prima traballare e poi cadere il governo, sicché Conte viene pregato, fra squilli di trombe e trombette di tornare da dov'era venuto. A quel punto il povero Zinga, vero pesce di terraferma si è trovato in braghe di tela con questo freddo e con questo virus. Aveva puntato come un matto sul Conte tre e si ritrova invece col castigamatti Draghi che chiama gli alpini e fa comandante supremo senza esporsi troppo alle telecamere. Il povero Zingaretti a questo punto non ha più un mazzo di carte per distribuire premi e prebende e neanche per promettere qualcosa.

Il Pd sembrava l'ambasciata americana a Saigon quando tutti stavano sul terrazzo cercando di saltare sull'elicottero della salvezza. Ma l'elicottero era pieno e l'odontotecnico vedeva che la prospettiva della salvezza si allontanava come il velivolo della sconfitta. Era assediato. Il partito non lo rispettava, lo trattava come un fattorino: due poltrone da ministro al tavolo sette e un sottosegretariato al signore là in fondo. Urlava, cercava di farli ragionare, i tempi sono cambiati, è arrivata l'ora degli alpini dopo quella degli avvocati del popolo, che volete da me? Il suo atteggiamento e persino la sua forma umana così romana, rotonda, i suoi ragionamenti e dichiarazioni così banali, prevedibili, innocui, i suoi termini elastici, tutto diventava giorno dopo giorno materiale d'accusa, o almeno di pretesa. Era un po' che lo diceva, da due settimane, scocciatissimo: non c'è neanche un briciolo di rispetto per il segretario del partito, mi hanno preso per un'agenzia di collocamento.

Le voci, i famosi boatos di cui il Pd vive da anni, dicevano che non poteva fare il segretario per tutte le stagioni, che non ne aveva azzeccata una e che adesso aveva il dovere quanto meno di mettere al sicuro i compagni più deboli, chi se ne frega delle donne e delle quote rosa, i posti li deve trovare perché questo è un governo di logoramento che se arriverà al 2023 ci lascerà senza una goccia di sangue nelle vene. È cominciata a circolare la lista delle colpe per la messa al rogo: troppe capriole nelle alleanze senza un corrispettivo vantaggio per i singoli capibastone. Troppa genericità nel dare una linea al partito e mancanza strutturale di cultura ideologica - di nuovo l'accusa di essere «soltanto» un odontotecnico - fino a polverizzare l'identità del partito clonato in fretta e furia sul modello Cinque stelle. È stato così che il fratello grigio del fratello smagliante ha capito che per lui non c'era più scampo: autorevolezza, zero. Autorità, sottozero. Capacità contrattuale annichilita dall'arrivo di berlusconiani e leghisti. Un labirinto di cui qualcuno ha murato la porta d'uscita.

Quando l'ultimo dei suoi peones è venuto a dirgli che lui come compagno che si era tanto sacrificato si aspettava una ricompensa all'altezza del sacrificio, ha avuto come uno scatto isterico, ha sbattuto il pungo sul tavolo, ha urlato basta e ha giocato l'ultima carta che aveva in mano prima che anche quella si trasformasse in fango: mi dimetto e ve la sbrigate da soli, partito antropofago addio, non avrai le mie ossa.

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