Quinto non uccidere. E sulle tavole di una legge che dev’essere di Dio per chi crede e ancor più degli uomini per chi non ha il dono della fede, non c’è nulla da discutere. Perché la vita, chiunque ce l’abbia data, è sacra. Tutte le vite, però. Soprattutto quelle minacciate da rapinatori che con le armi in pugno vogliono prendersi quella del proprietario di una gioielleria e di un distributore di benzina.
O, magari, quella dei familiari quando di notte entrano nelle case, non certo chiamati da qualcuno. Sacra la vita, dunque, e sacra per consecutio logica ancor più che etica la sua difesa, prima che questi tempi malati e giudici azzeccagarbugli abbacinati da cavilli giudiziari, ci portino a santificare la «legittima offesa». Perché di questo parlano ormai le aule di tribunale dove chi ha protetto la propria attività, la casa e spesso mogli e figli da criminali senza scrupoli, viene perseguitato ben più dei fuorilegge. E finisce col pagare ancor più di loro. Anche in solido, come è toccato a chi ha dovuto risarcire con fior di euro le famiglie dei rapinatori colpiti per ordine di un giudice. Come se non bastasse una vita già distrutta da un attimo di panico o ancor più spesso dalla fredda, lucida e ci vorrebbe l’onestà di chiamarla anche coraggiosa risoluzione a non lasciarsi sopraffare dai criminali.
A proteggere i cittadini devono essere solo le forze dell’ordine, se la cavano con le solite affermazioni lunari troppe anime belle che per vivere non hanno bisogno di aprire un negozio a Frattamaggiore o di abitare nei quartieri finiti nel mirino dei rapinatori. E così rischia di suscitare prima di tutto rabbia l’iscrizione nel registro degli indagati per omicidio di un altro gioielliere per omicidio.
«Solo un atto dovuto per consentirgli di difendersi», recita la tiritera ripetuta dai magistrati in questi casi. Bene. Che però solo di «atto dovuto» si tratti e «atto dovuto» resti. E una volta eventualmente accertata la responsabilità dei delinquenti, siano loro a pagare e non la gente perbene, anche se per difendersi ha dovuto impugnare una pistola, peraltro regolarmente denunciata. E se qualcuno quell’arma l’ha concessa, significa che il gioielliere di Frattamaggiore ne aveva bisogno per difendersi. E quale bisogno più impellente di tre energumeni travisati (con la maschera di Hulk) e con in mano un’arma di grosso calibro con il colpo in canna e che (sembra) aveva già sparato? Gente che avrebbe usato un martello per aprirsi una porta che era stata tenuta chiusa. Delinquenti in sella a un motorino che sembra fosse già stato utilizzato per altre rapine e viaggiavano impuniti nell’isola pedonale senza che nessuno pensasse di fermarli.
Perché in certe aree del Sud, fuori dal controllo dello Stato, questo è normale, così come sono normali gli spari facili. Ed è inutile scandalizzarsi solo quando vediamo in tivù le serie tipo Gomorra, comodamente affondati nei divani di casa. Perché alla fine a terra è rimasto un rapinatore. Ma anche la vita dell’ennesimo commerciante che avrà l’esistenza rovinata dall’ormai scarsissima fiducia in uno Stato che non sembra più in grado di difendere i suoi cittadini.
Come testimonia la discussione sulla difesa (che forse dovrebbe essere sempre legittima) e che pare sparita dall’agenda elettorale dopo che i governi del centrosinistra hanno buttato nel cestino un dibattito in Parlamento che si riaffaccia solo in occasioni tragiche, per poi subito sparire. Lasciando i cittadini sempre più convinti che a essere diventata legittima sia ormai l’offesa. E non certo la difesa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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