L'equilibrio delle armi

A volte le risposte le trovi sui libri di Storia. E la vicenda ucraina, compresi gli ultimi avvenimenti, ricorda da vicino la guerra di Corea dei primi anni '50

L'equilibrio delle armi

A volte le risposte le trovi sui libri di Storia. E la vicenda ucraina, compresi gli ultimi avvenimenti, ricorda da vicino la guerra di Corea dei primi anni '50. Già solo questo dà un'idea del salto indietro nel tempo di cui Vladimir Putin è responsabile. In quel conflitto, dopo una serie di offensive e controffensive che vide protagonisti da una parte la Corea del Sud, quella democratica appoggiata da una coalizione occidentale, e sull'altro versante la Corea del Nord comunista, quella che ancora oggi è governata da un autarca spietato come Kim Jong-un, sostenuta da Russia e Cina (anche nel nuovo «ordine mondiale» le alleanze dopo settant'anni non cambiano), il punto di equilibrio tra le due parti fu trovato sul famoso 38° parallelo. Un equilibrio determinato dalla forza militare, non da altro. Ne seguì un cessate il fuoco, un armistizio e, quindi, un conflitto ad alta e bassa intensità che si è protratto per anni. Tant'è che laggiù, ancora oggi, non c'è nulla che somigli ad una vera pace.

Ebbene, le vicende di queste ore ricordano quelle pagine di storia. Dall'esito della grande battaglia del Donbass, ma non solo, che vede le truppe di Putin impegnate nell'ultima offensiva e quelle di Zelensky pronte a rintuzzarla con l'aiuto sempre più determinato e determinante della Nato, verrà stabilito, per azzardare un paragone, il «38° parallelo» ucraino, cioè la linea di confine che dividerà l'Ucraina democratica da quella filo-russa. Perché, inutile farsi illusioni, nessuno riuscirà a schiodare lo Zar dai territori che ha conquistato o conquisterà. Cascasse il mondo. Come pure è improbabile che il governo di Kiev possa digerire tale sopruso. Ecco perché è molto difficile immaginare una pace come epilogo di questo dramma. Semmai sarà una tregua a ratificare quello che hanno deciso le armi, non la diplomazia.

Lo intuisci constantando che ormai tutti stanno seguendo la logica di settant'anni fa. Si può aggiungere un «purtroppo», ma è la realtà. I due contendenti si stanno impegnando allo spasimo per riuscire a strappare (o a difendere) più territorio possibile. Senza farsi problemi dei danni inferti ai propri Paesi o delle perdite umane. L'assedio di Mariupol è l'emblema di questa crudele filosofia. Sulla linea di confine decisa dagli eserciti si valuterà chi ha vinto e, quindi, chi avrà più argomenti quando le armi cederanno il passo alla diplomazia. Tempi che non saranno veloci: la ferita è troppo profonda per rimarginarsi in mesi, ci vorranno anni.

Ormai è convinzione comune dei duellanti e delle altre nazioni, spettatrici interessate. Finlandia e Svezia, dopo essersene infischiate per anni, stanno premendo in tutti i modi per entrare nell'Alleanza Atlantica. Stessa consapevolezza ispira la Nato: a Bruxelles stanno valutando la presenza di un esercito permanente ai confini con la Russia (gli americani, per continuare nel paragone, ancora oggi ne hanno uno sul 38° parallelo in Corea).

Più o meno gli stessi ragionamenti che stanno facendo al Cremlino. La verità è che un giorno magari i nostri nipoti ci chiederanno quale incredibile follia di Putin, quale insensato calcolo dello Zar ha precipitato di nuovo nella primavera del 2022 l'Europa in una guerra.

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