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L'idea del voto in primavera

L'idea del voto in primavera

Primo aneddoto che ti fa immaginare le elezioni a primavera con le rondini sotto il tetto. Sabato scorso, primo pomeriggio: magari sarà solo la rabbia per quello scontro autoreferenziale che dilania da anni il Pd, ma per Matteo Renzi la misura è colma. «Quelli (cioè i vari Franceschini, Gentiloni, Zingaretti, ndr) lo vogliono fare davvero l'accordo con i grillini si indigna l'ex segretario -: e io non posso accettarlo! Del resto hanno dato l'incarico di responsabile per le istituzioni a uno che al referendum sulle riforme costituzionali si è schierato per il No. Al dipartimento lavoro hanno messo un avversario del Job Act. Ancora: stanno facendo fuori i miei come Faraone in Sicilia. E addirittura mi impediscono di parlare in Senato. Che ci sto a fare ancora qui? A settembre me ne vado!».

Secondo aneddoto per dedurre che qualcuno ha sempre perseguito l'ipotesi delle urne a marzo, o giù di lì. In fondo a Matteo Salvini le idi di marzo, a differenza di Cesare, hanno portato fortuna: la sua ascesa è cominciata proprio in quei giorni di due anni fa. E il personaggio, anche se non lo dà a vedere, è scaramantico. Con uno di quegli amici che conosce da una vita, oggettivo perché esterno alla politica, il vicepremier leghista, che molti sull'ipotesi del voto a ottobre hanno paragonato a «sor tentenna», sull'altra data è stato fin troppo netto: «Si vota a marzo. Romperemo sulla flat tax perché non me la daranno. Io a quel punto voterò per senso di responsabilità una legge di bilancio che giudicherò monca, ma subito dopo l'esperienza di governo finirà». Per dovere di cronaca: la «gola profonda» che riporta i piani di Salvini, fa parte del ristretto gruppo di quelli che sanno. E la sua esperienza di oracolo lo dimostra: ha escluso per tempo le elezioni ad ottobre; ha previsto che il leader della Lega si sarebbe organizzato per andare da solo; ha escluso da mesi un riavvicinamento di Matteo con il Cav; e, per dirla tutta, è uno dei pochi al corrente del perché Salvini ha rotto con la sua ex, Elisa Isoardi. Vedremo se avrà ragione pure questa volta.

Terzo aneddoto che testimonia che il momento della verità si avvicina. Urbano Cairo dopo tante congetture e ragionamenti, sta decidendo se trarre il dado del suo ingresso in politica, oppure no. «Se sono tentato dalla politica? Anche se lo fossi rispondeva a un suo interlocutore il patron del Corriere e della Sette qualche mese fa non lo direi ora. Mica si vota oggi. Berlusconi diede l'annuncio a due mesi dal voto. E cominciò a muoversi solo quattro mesi prima. Io in quel periodo lavoravo nel suo gruppo e ricordo che molti dei suoi non erano dell'idea che dovesse fare quel passo, da Confalonieri a Letta. Io, invece, anche se non partecipai al progetto, ero d'accordo con lui». Ora il momento di scegliere è arrivato e Cairo è il primo a saperlo. Su questo particolare versante che unisce politica e impresa lo sanno in molti. Uno che conosce bene questo itinerario come Silvio Berlusconi, ha tentato neppure un mese fa di coinvolgere invano - l'amministratore delegato della Lamborghini, Stefano Domenicali, in quest'avventura. E ce ne saranno altri. Lo sa Salvini che nei giorni scorsi si è cimentato nel «teatro delle ombre cinesi»: «Per ora chi è interessato ha osservato con i suoi è lontano dai riflettori. Ma appena ci sarà una data, si farà avanti». E ne è consapevole Di Maio, che la settimana scorsa è tornato a reclamare con forza una legge sul «conflitto di interessi»: non si sa mai!

Tutti questi segnali, confidenze, congetture, hanno un unico comun denominatore: tira aria di elezioni a Primavera e tutti cominciano ad attrezzarsi. «Io sono convinto che finiremo lì», ammette l'azzurro, Roberto Occhiuto. «È una prospettiva quasi scontata», sentenzia sul versante della sinistra Nico Stumpo. E anche su al Quirinale si stanno acconciando a questa prospettiva anche se ci si raccapezzano poco. Un mese fa si erano fatti l'idea che il «time limit» per la Lega fosse fine agosto: così Salvini si sarebbe spogliato di ogni responsabilità sulla legge di Bilancio. Poi, ora hanno puntato i riflettori sul voto al Senato sul decreto sicurezza bis: solo che se i grillini facessero mancare il loro voto su un provvedimento del genere, farebbero un triplo favore al vicepremier leghista. Per cui sul Colle attendono, scrutano senza, però, risolvere il rompicapo. L'analisi di Graziano Delrio, capogruppo dei deputati del Pd, ben introdotto al Quirinale, è più o meno questa: «Scommetto solo che la crisi di governo ci sarà o all'inizio dell'autunno, o, addirittura, a fine agosto. Poi si vede che succederà? Ma si potrebbe anche votare all'inizio del prossimo anno». Quel «poi si vede» è proprio la variabile imponderabile che spinge Salvini ad aprire le danze solo dopo l'approvazione di una legge di bilancio che in ogni caso criticherà: rispettato quest'obbligo è ciò che pensa il vicepremier verde - il Quirinale non avrà pretesti per mettere in piedi un altro governo dalla data di scadenza variabile. Inoltre una maggioranza che non riesce ad approvare una legge di bilancio non è più riproponibile e Salvini, come si sa, per abitudine, non si preclude nessuna strada. Il suo schema prevede: correre da solo alle elezioni; e solo dopo decidere se allearsi con ciò che resta del centrodestra, o riprendere la collaborazione con i 5stelle depurati dai movimentisti. Naturalmente, in entrambi i casi, con lui a Palazzo Chigi.

Proprio per evitare di offrirgli alibi sulla finanziaria, qualcuno tra i grillini di governo sta accarezzando una «pazza idea»: perché non mandare Giovanni Tria in Europa e mettere un personaggio in odor di Lega al Mef? Con una firma con l'inchiostro verde sotto la legge di Bilancio come farebbe Salvini a sganciarsi? «Il problema è il commento laconico del capogruppo 5stelle D'Uva è che noi siamo incapaci nelle manovre, mentre i leghisti sono dei maestri». Per cui alla fine la resistenza all'ipotesi delle urne in primavera, è affidata, al solito, all'istinto di sopravvivenza dei parlamentari.

Confida Antonio Martino, il deputato forzista che la settimana scorsa, tra il serio e il faceto, si è proposto allo stesso Conte come «deputato responsabile», pronto ad appoggiare dall'esterno l'attuale governo per scongiurare le elezioni anticipate: «Dopo quella cena sono almeno 70 i deputati in quest'aula che mi hanno fatto sapere: Io sono con te!».

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