Sarebbe come se da noi la gente si radunasse in piazza per discutere sull'italianità e chiedersi: dov'è il cuore dell'Italia? Siena? Milano? Roma? E che cosa ci rende uniti e simili? Dove la lingua è più pulita e dove più bastarda? È come se alla fine si decidesse che in nome delle nostre antiche tradizioni nessun burocrate si può sostituire al delegato del popolo, figuriamoci poi un burocrate di Bruxelles che vuole imporci per legge il diametro dei fagioli.
Succede da noi? No. Accade invece in Inghilterra dove gli inglesi vogliono chiamarsi inglesi e non britannici e dove la Brexit è alle porte, benché insudiciata dal sangue della povera deputata laburista Jo Cox. Le isole britanniche contengono popoli molto diversi per tradizioni e lingua, scozzesi e gaelici, irlandesi e inglesi. Ma l'etnia prevalente quella propriamente inglese che si concentra nel Sud-Est operaio come South Benfleet scende in piazza contro la temuta assimilazione culturale europea. In Italia semmai il detto «o Franza o Spagna, purché se magna» (riadattato ai tempi) batte la lingua di padre Dante.
È questo che colpisce: da noi il problema di stare dentro o fuori l'Europa è economico: vediamo una diffusa rivolta contro Bruxelles che è prima di tutto una rivolta contro la moneta comune. Il Regno Unito non ha voluto l'euro. Ha conservato la sterlina. Ma a quanto pare la vera moneta corrente è fatta d'identità e orgoglio nazionale. L'invidia è inevitabile.
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