Poi però va al punto, senza tanti spagnolismi: «Prima dormivamo con le porte aperte. Dal 2008 ho la pistola sul comodino». Il clima, anche nella provincia profonda, anche a Vaprio d'Adda, è cambiato e si è incarognito. Rapine. Furti. Scippi. Il farmacista di Vaprio, amico di Sicignano, Antonio Pipia, ha subito sei «visite», l'ultima lunedì. Siamo sul bordo del far-west. «Quei tempi non ci sono più», nota amaro il pensionato.
Fermezza e pietà. Non è un robot senza sentimenti, l'imprenditore. La sua versione della sparatoria viene passata alla moviola con crescente scetticismo da parte degli investigatori, sulla sua testa pende l'accusa, pesantissima, di omicidio volontario, lui ancora una volta pensa all'altro lato della tragedia: «Il primo pensiero va ai genitori di quel ragazzo». Il secondo, però va ai carabinieri che svolgono un lavoro eccellente nel contrasto alla criminalità, ma poi vedono spesso svanire i frutti della loro fatica nell'incrocio perverso fra leggi mal scritte e interpretazioni buoniste della norma. «È tutta colpa - tuona - di quel branco di idioti che sta a Roma. I nostri carabinieri sono fantini preparatissimi ma se poi gli danno degli asini per correre cosa possono fare? Basterebbe fare una legge sulla legittima difesa e dare 25 anni a chi commette reati del genere. Perché - e qui il tono si fa tagliente - questo non è un furto, ma uno stupro psicologico». Altro che sfogo, questa è una requisitoria.
La voce s'incrina per un attimo. Affiorano dolore e stanchezza. Gli chiedono come sta e lui, sempre più nervoso, replica a muso duro: «Sto male. Mia moglie trema, ho dovuto accompagnarla dal medico». Sofferenza. Tensione. Paura. Interrogatori. Microfoni e taccuini. Una vita stravolta. Il bisogno di individuare una soluzione: «Se si condanna a 25 anni chi commette questi reati, vedrete che qualcuno ruberà ancora, ma molti non ruberanno più».
Una ricetta forse un po' semplicistica, ma che coglie comunque il profondo disagio dell'opinione pubblica che vorrebbe la certezza della pena. E invece assiste sconcertata al fenomeno delle porte girevoli: pregiudicati che entrano e escono dal carcere con sbalorditiva rapidità, pene sulla carta severissime che all'atto pratico evaporano fino a diventare virtuali, infine un capovolgimento paradossale delle parti.
L'ha detto ieri al Giornale Federica Raccagni, vedova del macellaio Pietro, ucciso a bottigliate da quattro albanesi l'8 luglio 2014 a Pontoglio, in provincia di Brescia: «I clandestini penetrati nella mia abitazione sono in carcere per omicidio preterintenzionale e vengono giudicati col rito abbreviato che garantisce lo sconto di un terzo su un capo d'imputazione già morbido. Invece il pensionato di Vaprio d'Adda è indagato per omicidio volontario. Lo Stato sembra difendere più i ladri che le vittime».A Pontoglio o a Vaprio d'Adda, non fa differenza.
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