Cronache

L'islamologo: "Molti versetti del Corano incitano a fare la guerra"

Don Giampiero Alberti: "Per verificare se sono veramente musulmani, i terroristi ordinano agli ostaggi di recitare la professione di fede e la prima Sura, che equivale al Padre Nostro"

Don Giampiero Alberti, del servizio per il dialogo interreligioso della Diocesi di Milano
Don Giampiero Alberti, del servizio per il dialogo interreligioso della Diocesi di Milano

All'indomani dei funerali di padre Jacques, il parroco 'martirizzato' in Francia per mano di due giovani sicari dell'Isis, il mondo cattolico continua a interrogarsi se ci sia davvero solidarietà da parte della comunità musulmana moderata, che domenica scorsa, seppur in piccola percentuale, ha preso posto nelle chiese per partecipare alla Messa in segno di vicinanza nei confronti dei cristiani perseguitati in Europa e nel mondo.

Secondo don Giampiero Alberti, coordinatore del servizio per il dialogo interreligioso della Diocesi di Milano, tra gli islamologi più autorevoli d'Italia, il confronto pacifico con i seguaci di Maometto è possibile, anche se molti "hanno una visione ancora troppo ristretta della loro fede islamica e faticano ad adeguarsi alle nuove richieste della nostra società globalizzata".

Don Alberti, Lei porta avanti il lavoro di dialogo con le comunità islamiche di Milano dal 1989. In questi 27 anni, anche alla luce dei recenti tragici eventi, ha notato una progressiva apertura o chiusura dei musulmani che risiedono nel capoluogo lombardo?

"Purtroppo ci sono ancora tanti musulmani che non sentono dentro di loro quei valori che li accomunano ai cristiani. Mentre tante parrocchie milanesi hanno aperto le porte alle persone di fede islamica, raramente noi cattolici abbiamo avuto la possibilità di entrare in moschea e parlare del Vangelo. Loro vedono in Maometto il Cristo coranico e conoscono superficialmente il nostro Gesù cristiano. C'è chi capisce un po' di più, chi invece proprio non ci arriva".

Il 31 luglio diversi musulmani, a dire il vero non tantissimi, sono andati a Messa in memoria del parroco francese Jacques Hamel. E' il primo passo verso il cammino insieme tra cristiani e islamici?

"In realtà, gesti di questo tipo sono già stati compiuti in passato. Certo, quella di domenica scorsa è stata l'occasione più eclatante, ma gli stessi volti che ho visto tra i banchi della chiesa hanno ancora bisogno di un confronto sempre maggiore sui temi della libertà, del ripudio del terrorismo, ma anche della preghiera, dell'educazione dei figli e del rispetto del lavoro. Non è facile parlarne, c'è bisogno di fiducia da ambo le parti. A volte, si deve persino ricominciare daccapo".

Islam radicale e Islam moderato. Questa distinzione si può fare?

"Si tratta di una terminologia entrata ormai nel vocabolario mediatico. Io preferisco non usare l'aggettivo 'moderato', dico soltanto che ci sono musulmani incapaci di leggere la propria fede dentro il contesto contemporaneo in cui vive. Alcuni, purtroppo tanti, sono fermi alle loro leggi e le interpretano senza un ragionamento approfondito, senza una riflessione critica. Altri, invece, accettano di seguire quei versi del Corano in cui si afferma che, se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di noi un solo popolo, e quindi ammettono la pluralità religiosa".

Papa Francesco sostiene che non stiamo affrontando una guerra di religione. Allora che tipo di guerra è?

"Non sono un sociologo né uno storico, ma ho capito che, quando un gruppo vuole prevalere su un altro, entrano in gioco diversi interessi e altrettanti pretesti di vario genere, economico, politico o religioso".

Ma qual è il vero significato della parola 'Islam'? Significa veramente 'pace'?

"Significa, nel senso più vero del termine, 'sottomissione a dio'. Il musulmano sente che tutta la sua vita è nelle mani di Dio, che è continuamente guidata da Dio, quindi la missione dell’uomo islamico è ascoltare la parola di Allah e di metterla in pratica nella sua esistenza terrena. Poi ben vengano altri significati, tra cui 'pace'. Noi cristiani accettiamo volentieri queste interpretazioni semantiche, anzi, se ce le fanno i musulmani al nostro posto, è ancora meglio. Però, se concepiamo la sottomissione solo in maniera negativa, perdiamo di vista i valori positivi contenuti nel Corano, perché ogni musulmano detiene comunque il libero arbitrio di essere sottomesso a Dio oppure di sfuggirgli, di accedere o no a questa jihad interna, a questa tensione verso Allah".

E' innegabile che nel Corano siano contenuti passi bellicosi.

"Sì, ci sono tanti versi in cui si parla di guerra. E ci sono tante persone poco attente alla vera comprensione del testo. Estrapolano brevi frasi molto dure, violente, che incitano a questa guerra, a questo conflitto gli uni contro gli altri. Io credo che la cosa più importante sia quella di comprendere il Corano in base al contesto storico, in particolare la prima parte in cui viene raccontata la rivelazione avvenuta alla Mecca. Si tratta di una rivelazione più spirituale, basata sui valori. La rivelazione si fa più concreta nel secondo periodo dopo l’Egira del 622 d.C., quando la parola di Allah viene diffusa attraverso Maometto, che accetta di recitarla con una forte tensione a vivere uno stato islamico, una vita totale islamica. E credo che sia proprio in quel momento che il profeta, al di là del Corano, abbia deciso di scendere sul campo di battaglia. Un vero musulmano dovrebbe accettare la critica letterale del Corano per difendere la pace e per dire no al terrore, valutando maggiormente altri versetti piuttosto che i passi più duri riferiti a fatti storici di un passato remoto. Sarebbe questa la corretta lettura critico-storica del testo tramandato da Maometto. Noi cristiani abbiamo saputo contestualizzare il nostro credo dopo mille anni di cristianesimo, molti musulmani invece non riescono ancora a decontestualizzare alcune parti del Corano, ma credo che prima o poi dovranno farlo anche loro per porre fine a tutti questi fraintendimenti".

Quali sono i punti in comune tra Cristianesimo e Islam?

"Innanzitutto il concetto di dio unico. Quando vado nelle terre islamiche, i musulmani mi accolgono dicendo: 'Nel nome di Dio, il clemente e il misterioso'. E io rispondo, ricevendo applausi: 'Nel nome del Dio unico'. Noi, infatti, crediamo all’unico Dio. E, come dichiarò il Concilio Vaticano II del 1964, con i musulmani abbiamo in comune anche la preghiera e la carità".

Eppure i terroristi islamici non hanno pietà per nessuno, in particolare per chi non conosce il Corano. Di preciso, cosa ordinano di fare agli ostaggi prima di decretarne il destino con le armi?

"Ordinano loro di recitare la professione di fede 'Non c’è dio se non il dio e Maometto è il suo profeta', che è il pilastro della fede islamica, la formula per verificare se l'ostaggio sia davvero musulmano o no. A qualcuno hanno chiesto anche la prima Sura del Corano, che equivale al Padre Nostro".

Ci dica la verità: dopo l'assassinio di padre Jacques, Lei non ha paura per se stesso?

"Sì, sono preoccupato, ma dopo fatti terribili come la barbara esecuzione di padre Jacques a Rouen rinasce in me la voglia di lavorare ancora di più per il dialogo. I cristiani vengono uccisi dallo stesso odio che miete vittime anche fra tanti musulmani. La storia del dialogo interreligioso purtroppo è continuamente messa a repentaglio. Penso al nostro ex vescovo, monsignor Luigi Padovese, assassinato in Turchia. Ma ho anche perso due compagni di università, Andrea Santoro e Christian Chessel che credevano come me al dialogo e sono stati uccisi. Non posso accettare l'idea di una società divisa e ghettizzata. In 27 anni di lavoro, di incontri ne ho fatti tanti, ma spesso il dialogo è venuto meno. Insomma, la strada è ancora lunga".

Da dove nasce la sua passione per la cultura islamica?

"Già prima di diventare prete, ho voluto allargare le mie sensibilità andando in Egitto, in Giordania, in Israele, in Turchia, in Siria durante le estati dopo la scuola e lavoravo un mese e mezzo in questi campi studio. Nel 1989 il cardinal Carlo Maria Martini ha deciso di preparare un prete all’Islam e la scelta è ricaduta sul sottoscritto. Ho frequentato l'università e un dottorato sui testi arabi per illustrare la religione islamica in Italia e da quel momento questa mia passione per il mondo arabo è diventata sempre più grande".

Non ha mai riscontrato diffidenza da parte dei suoi fratelli preti?

"Ogni tanto mi ripetono che ho buon tempo da perdere per studiare un'altra religione. 'Tu e i tuoi musulmani dovete finirla!', mi dicono prendendomi in giro. All'inizio ho fatto molta fatica a lavorare con tanti amici preti, che io chiamo scherzosamente 'talebani' e che erano parecchio scettici nei miei confronti. Oggi, invece, rappresento il loro punto di riferimento qui a Milano per quanto riguarda i rapporti con l'Islam e non vedono più così inutili i miei studi e la mia preparazione.

Sarò per sempre grato al cardinal Martini che, affidandomi questo incarico, ha dimostrato di essere lungimirante".

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