Politica

L'odore e il colore dei soldi grillini

"Pecunia non olet" dicevano i latini, cioè il denaro non ha odore

L'odore e il colore dei soldi grillini

«Pecunia non olet» dicevano i latini, cioè il denaro non ha odore, ma in quel romanzo sterminato dei finanziamenti ai partiti, cioè l'argomento - vale la pena ricordarlo - con cui è stata spazzata via la prima Repubblica, un odore ce l'hanno e anche un colore. Alcuni puzzano più degli altri. Perché un conto è ricevere finanziamenti leciti, o «non», da qualche imprenditore generoso o interessato, un altro è se quelle risorse arrivano da Paesi stranieri che puntano a destabilizzare o a condizionare la politica di una nazione. Soldi del genere hanno un altro odore, un odore che somiglia tanto a quello del tradimento. La questione, infatti, è molto diversa da un comune finanziamento illegale, perché tira in ballo tematiche come gli equilibri interni di un Paese, le alleanze internazionali, la sua stessa sicurezza: i rubli di Mosca, amnistiati nell'89, cioè alla vigilia di Tangentopoli, hanno garantito, ad esempio, per un lungo periodo al Cremlino di controllare le politiche del Pci.

Ora nel disinteresse generale dei media italiani - a parte il Giornale - si è saputo che Hugo Carvajal, per dieci anni capo dei servizi segreti del dittatore venezuelano Hugo Chavez, ha dichiarato ai giudici spagnoli di aver finanziato il Movimento 5 stelle, insieme ad altre forze populiste nel mondo. A sentire l'ex-007 l'ultimo «regalo» sarebbe stato recapitato ai grillini nel luglio del 2017, cioè a pochi mesi dalle elezioni politiche del 2018: in altre parole il regime venezuelano, quello che ha ridotto alla fame la comunità italiana di Caracas, avrebbe finanziato la campagna elettorale dei 5 stelle. Qualcuno per esorcizzare l'argomento proverà a tirare in ballo i presunti finanziamenti di Mosca ricevuti dalla Lega, ma di quelli non c'è prova e, comunque, la notizia suscitò un vespaio sui giornali e nelle aule parlamentari. Dei dollari di Chavez ai 5 stelle, invece, non si occupa nessuno, eppure la fonte non è più solo il settimanale spagnolo, ABC, che ne scrisse nel giugno del 2020, ma l'organizzatore della consegna del denaro, cioè quel Carvajal, cassiere di Chavez. Del resto la vicenda non dovrebbe meravigliare più di tanto: se si vanno a rileggere le cronache politiche dell'arrivo dei 5 stelle in Parlamento, ci si accorge che all'epoca il gruppo dirigente grillino ha sempre trattato con i guanti bianchi il regime di Chavez, come se Caracas fosse Washington. Il tipico «do ut des». Più o meno come negli anni successivi i governi Conte, di ogni orientamento, hanno accarezzato la Cina: dalla via della Seta alle mascherine. E se tanto mi dà tanto, se uno dovesse far discendere dei sospetti dai comportamenti, allora anche su quella rotta c'è puzza di soldi.

Insomma, le parole dell'uomo di Chavez hanno tante implicazioni. Ma allora perché cadono nel disinteresse generale? Semplice, perché non si possono mettere in croce i grillini ora che sono diventati gli interlocutori privilegiati del nuovo Ulivo di Enrico Letta, non si può sputare in faccia al nuovo alleato del Pd.

La ragion di partito da noi, in alcuni ambienti, è superiore alla ragion di Stato.

Anche se quei soldi puzzano e hanno un colore.

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