Terribili le discussioni tra scienziati che litigano sull'epidemia, sul virus, sui vaccini, perfino sui casi di morte. Adesso aspettiamoci le scientifiche discussioni su chi può tornare ad uscire di casa, chi dovrà aspettare e chi, forse, sarà costretto a scordarselo per molto tempo.
Nell'arena dei talkshow televisivi si sono precipitati gli scienziati come fossero delle educande collegiali cadute in un postribolo, prendendoci gusto. E noi, abituati ad ascoltare le discussioni su tutto e su niente, siamo terrorizzati dalle dispute da cui dipendono decisioni sulla nostra vita. Certo, vorremmo garanzie, rassicurazioni non consolatorie, chiari orientamenti. Invece su tutto dominano l'incertezza e il dubbio.
La scienza non ha niente di miracoloso, ma noi siamo stati abituati ad obbedire ai precetti scientifici: se il dottore dice che devi prendere quella medicina a quell'ora, tu hai solo un'alternativa: o ubbidire o fare di testa tua. Poi, se non ubbidisci e la malattia peggiora e non passa, arrabbiati con te stesso. Insomma, non si discute: il dottore è un'autorità. E adesso, proprio nel momento in cui avremmo più bisogno di autorevolezza da parte della scienza medica, ecco che vediamo illustri luminari accapigliarsi tra loro.
Poi è inevitabile che la politica litighi quando riceve messaggi litigiosi dai medici, e i poveri opinionisti, ultima ruota del carrozzone televisivo, non potranno, certo, essere quelli che mettono ordine nella babele delle «opinioni scientifiche». Dunque, la prossima discussione sarà la ricerca di una «oggettività scientifica» che disciplini il tutti fuori casa. Figuriamoci se esiste questa oggettività.
Da quello che s'incomincia a sentire, ci saranno scaglioni per età: prima i giovani, poi i vecchi. Definita così la questione, viene da dire che c'è una logica. Ma quale logica? Quella superficiale del buon senso, che dice quanto siano più deboli i vecchi rispetto ai giovani. Sarà pronto il decreto. Naturalmente il primo decreto, cioè le prime pagine del secondo volume della Treccani che andrà ad affiancarsi al primo, quello dei decreti per l'autocertificazione di chi non può rimanere a casa. Il secondo decreto definirà le eccezioni: hai quarant'anni ma soffri di cuore? Te ne rimani a casa. Hai settant'anni ma sei un drago a tennis? Puoi uscire. Poi il terzo decreto prenderà in esame quelli che stanno così così, che non si capisce bene come stiano.
Io scherzo, ma va in malora il Paese senza una vera autorità che ci dia sicurezza di fronte alle decisioni che verranno prese. Soprattutto adesso che è un obbligo morale e politico stabilire come fare riprendere l'attività economica, scolastica, relazionale: ecco, soprattutto adesso gli scienziati non vadano in televisione a dire le loro differenti verità, a discutere e a renderci ancora più frastornati di quello che siamo. Parlino tra loro, litighino appartati, lontani dalle telecamere, e ci dicano cosa dobbiamo fare: però, una voce sola. Vorrei evitare che mio figlio mi chieda: ha ragione lui o l'altro? Io quando torno a scuola?
Cosa volete che risponda, io come tutti gli ignoranti in materia che aspettano parole sicure per potere programmare i giorni a venire. Non ci sono parole sicure? Allora basta rumore e chiacchiere sulla nostra salute e sul destino futuro del nostro Paese.
Meglio il silenzio, perché esso ci fa capire che si stanno prendendo decisioni serie e ci convince anche che, proprio nella serietà della ricerca, si prova a individuare la strada migliore per noi. Nel silenzio della scienza medica c'è quell'autorità decisionale che sapremo convintamente seguire per uscire dal male.
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