L'orsetto di 95 anni che cerca ancora la sua "padrona"

E’ stato ritrovato quattordici mesi fa all’aeroporto di Bristol in Inghilterra in una busta di plastica dal personale dell’aeroporto, che oggi chiede di sapere da dove provenga

L'orsetto di 95 anni che cerca ancora la sua "padrona"

«Chi di voi può aiutarmi? Vi prego vi sto chiedendo aiuto con la mia zampina dolce. Ascoltatemi! Mi hanno abbandonato e sono così piccolo, piccolo, benché abbia compiuto la bellezza di 95 anni. Aiutatemi a ritrovare la famiglia da cui vengo». Non ha la «pia» l’orsetto di peluche, quel congegnetto che avevano le antiche bambole al posto della voce. E’ stato ritrovato quattordici mesi fa all’aeroporto di Bristol in Inghilterra in una busta di plastica dal personale dell’aeroporto, che oggi chiede di sapere da dove provenga. La sua unica carta d’identità è una foto, dove appare insieme a due bambine, Dora e Glyn. L’immagine porta una data: marzo 1918. La sua voce di richiamo è quella di Rupert Everett.
Non ha nessun congegno sonoro nella sua pancina Uli - gli abbiamo dato noi il nome -, perché il tenero teddy bear è nato nell’anno in cui finì la prima Grande Guerra, quando un giocattolo era un oggetto che prendeva anima dalle carezze della bambina che lo teneva con sè per confidargli i segreti che gli adulti non dovranno mai, ma proprio mai, sapere. Chissà quale angelo, fata, gnomo, elfo, stella ha voluto che il suo destino fosse d’essere ritrovato nel 2013, in un epoca in cui c’è Facebook e Twitter, sui quali può navigare per riapprodare alla sua casa natia. Uli ha un occhio solo, come tutti i giocattoli che si rispettino, perché sono stati così coccolati d’aver conosciuto la consunzione dell’amore, che dona e che brucia, che offre e che toglie, che aggiunge e sottrae nello stesso tempo.
I piedini sono cuciti con un tessuto a righe e in mezzo alla pancia ha anche una cicatrice nella sua pelliccia d’angora. Sta appoggiato un po’ storto con le sue orecchie che pendono e guarda l’obiettivo con un sogno. «Fate un tam tam perché io possa sapere perché mi trovo qui solo, in un aeroporto, abbandonato o dimenticato. Se qualcuno ha voluto sbarazzarsi di una memoria, lasciandomi in questa stazione in cui passa troppa gente di fretta per avere ricordi, ho il diritto di saperlo, perché io invece non voglio smettere di ricordare. Sono vissuto per quasi un secolo e voglio vivere ancora. Voglio ancora le coccole e le tenerezze di un bimbo o di una bimba, voglio essere un giocattolo non un reperto storico da buttare. A nessuno piace essere gettato via, anche se mi accorgo che in questo posto tante persone dimenticano le cose oppure se ne sbarazzano come se nulla avesse un valore. Le cose hanno un valore invece: insegnano a tenere il filo di diverse vite, perché esse passano di mano in mano. Quello che vi posso raccontare, nessuno ve lo può narrare. In fondo sono un simbolo. Sono nato al confine di un tempo tra la guerra e la pace, e so che aspetto hanno i buchi della prima e i frutti della seconda. Un giorno in aerporto ho visto una tv, dove i miei pronipoti parlano e danzano e fanno pure la pubblicità di una macchina chiamata cellulare. Se mi aiutate a trovare la mia casa, vi regalerò una telefonata senza fine: la voce di un secolo intero. Ho conosciuto Pinocchio, dopo che da burattino è diventato bambino. Ho visto Peter Pan divenuto adulto nel parco di Londra, quando faceva giocare i suoi bambini che non avevano preso nulla da lui.

E ho visto persino Mary Poppins. Aiutatemi e vi regalerò la magia che conobbe chi portò il mio nome, Uli, Ulisse: il ritorno. E non vi sto raccontando quella dell'orso». Fate un tam tam in rete. Aiutate l’orsetto di Bristol.

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