Cronache

Lucia Uva assolta dalle accuse di diffamazione: "Non mi scuso con gli agenti"

Assolta dall'accusa di diffamazione aggravata, Lucia Uva commente: "Chiedo scusa alle divise, non agli uomini"

Lucia Uva assolta dalle accuse di diffamazione: "Non mi scuso con gli agenti"

Lucia Uva è stata assolta dall'accusa di diffamazione aggravata "perché il fatto non costituisce reato". Al centro del processo alcune dichiarazioni mandate in onda nell'ottobre 2011 alle Iene, frasi scritte su Facebook e un'intervista del documentario Nei secoli fedele. Il pm di Varese aveva chiesto un anno e due mesi di carcere. "Chiedo scusa alle divise, che ho sempre rispettato - ha commentato la sorella di Giuseppe Uva - non agli uomini".

Il processo è scaturito da una querela presentata in passato dai due carabinieri e dai sei poliziotti che venerdì scorso sono stati assolti dall'accusa di omicidio preterintenzionale nel processo con al centro la morte del fratello morto nel giugno del 2008 all'ospedale di Varese dopo aver trascorso parte della notte nella caserma dei carabinieri. Nel documentario Nei secoli fedele - Il caso Giuseppe Uva la sorella dell'uomo, secondo le accuse, ha affermato "con le dichiarazioni contenute nel video in più passaggi che i querelanti avevano ripetutamente colpito con violenza Giuseppe Uva cagionandogli lesioni". Su Facebook aveva inoltre definito "delinquenti" e "assassini" i carabinieri e i poliziotti che intervennero quella notte. Intervistata da un inviato della trasmissione di Italia 1 nell'ottobre 2011, aveva poi parlato di botte e una presunta violenza sessuale subita dal fratello in caserma.

Nel corso della requisitoria, il pm aveva sottolineato che l'ipotesi di uno stupro è "frutto di una congettura non supportata da alcun elemento di riscontro oggettivo" contenuto nelle perizie e negli atti disponibili all'epoca dell'intervista. Inoltre, secondo il pm, "non vi era alcun elemento per consentire all'imputata di affermare con certezza la sussistenza di botte o violenze perpetrate nella caserma" che, anche in questo caso, erano una "mera congettura". Nelle interviste e su Facebook, quindi, "sono state affermati come veri fatti non desumibili da dati processuali per additare poliziotti e carabinieri, a distanza di anni, come stupratori e barbari picchiatori di persone indifese".

I legali di carabinieri e poliziotti, parti civili nel processo, avevano chiesto un risarcimento di alcune migliaia di euro. "Prendiamo atto della decisione del giudice - ha spiegato uno dei legali, l'avvocato Fabio Schembri - ci auguriamo che in futuro, dopo l'assoluzione di carabinieri e poliziotti, vengano moderati i toni.

Non tollereremo più che vengano reiterati gli attacchi e le offese infamanti".

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