Se un cessate il fuoco ci sarà in quel puzzle complicato che è la vicenda Ucraina, non avverrà sul piano diplomatico, ma come risultato di un equilibrio armato. Una riproposizione del meccanismo che ha garantito la pace nel mondo negli anni della Guerra fredda. È una previsione fatta all'inizio del conflitto e che questi otto mesi di guerra hanno confermato. Del resto non ci possono essere altri sbocchi se da una parte il Cremlino si inventa dei referendum farsa per annettere alla Russia territori non suoi; e se Zelensky, sull'altro versante, decide per decreto che nessuna trattativa è possibile con Putin. Per cui, se entrambi i contendenti si affidano al giudizio delle armi, è difficile che esca fuori da lì un'iniziativa diplomatica convincente.
Eppure, anche se può sembrare un'idea controcorrente, questo meccanismo, per alcuni versi perverso, cioè una pace affidata alle armi, come si diceva all'epoca della Guerra fredda, fondato sull'«equilibrio del terrore» in cui il nucleare serve come arma di dissuasione, potrebbe farsi strada. In fondo sarebbe l'epilogo ovvio di quelle logiche vecchie di settanta anni, che purtroppo hanno presieduto il conflitto. E, scrutando ciò che avviene, un sentiero tortuoso e nascosto per arrivarci nel giro di qualche mese potrebbe anche esserci. Naturalmente bisogna vedere dove arriverà la controffensiva ucraina o dove le sarà permesso di arrivare.
È evidente, infatti, che non si può prescindere dalle volontà di Kiev. Ma è anche vero, però, che un conto è garantire l'indipendenza del Paese, metterne al sicuro la democrazia, garantirne i confini in termini generali, un altro è contribuire all'escalation di un conflitto, farlo uscire dagli attuali confini, rischiare rappresaglie nucleari per un lembo di territorio. L'inedita decisione dell'Fbi di indicare in Kiev il mandante dell'attentato a Darya Dugina, figlia dell'ideologo di Putin, si può dire ciò che si vuole, tradisce un certo disappunto americano nei confronti della politica ucraina.
Ma quale potrebbe essere la garanzia che appaghi il bisogno di sicurezza di Zelensky e che possa anche dargli soddisfazione? È evidente che deve essere speculare alla garanzia che Putin ha voluto assicurare ai territori annessi dalla Russia: una copertura militare e, di converso, nucleare. È lui che ha fatto il primo passo, che ha imboccato questa strada. E la sua filosofia non può non portarsi dietro un contrappeso nel campo avverso per tenere le cose in equilibrio; una decisione che non era pensabile prima, anzi che era stata tirata in ballo da Mosca come causa del conflitto e che invece, ora, potrebbe indurre Zelensky alla tregua: l'ingresso dell'Ucraina nella Nato. Così la mossa dello Zar sarebbe bilanciata. E, in questo modo, Kiev perderebbe sì un pezzo di territorio, ma il suo futuro sarebbe direttamente garantito dai dispositivi dell'Alleanza Atlantica. È ciò che Zelensky chiede con insistenza.
In fondo l'equilibrio del terrore, come ci insegnano gli anni della Guerra fredda, interviene quando latita la ragione. E una pace non dichiarata, non sottoscritta, magari risultato di una comune paura, è pur sempre un surrogato di pace da preferire alle immagini di morti e di distruzione che ci tormentano da mesi.
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