Macchine aziendali: perché spremerle è un suicidio fiscale

Macchine aziendali: perché spremerle è un suicidio fiscale

Tutte le tasse sono brutte. Alcune sono particolarmente cretine. Ma cretine di brutto. Nel senso di Carlo Maria Cipolla: «Una persona stupida è chi causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». La tassa sulle auto aziendali appena decisa dalla legge di bilancio è allucinante. Riesce a fare danni a tutti e benefici a nessuno. I 400-500 milioni attesi di introiti, alla fine saranno il prezzo da pagare per un suicidio fiscale, e neanche assistito. Vediamo in che consiste questa follia.

Oggi in Italia circolano circa due milioni di autovetture in mano a dipendenti di qualche impresa, che usano in modo promiscuo: in parte per lavorare e in parte per diletto. Il fisco ha negli anni preso atto di questa situazione. In un paese normale uno potrebbe attendersi che un'azienda invece di pagare ad un proprio addetto uno stipendio di cento, corrisponda un salario di 80 e un'auto il cui costo è di venti. Il vantaggio risiederebbe nel fatto che quei venti, essendo un beneficio in natura non dovrebbero essere colpiti da alcuna imposizione. Un bengodi che non ci appartiene. Il fisco infatti fino ad oggi si è comportato diversamente: tassando solo una parte del valore effettivo dell'automobile. Dunque su una Cinquecento L, per fare un esempio, si tassa, al pari del reddito, solo una porzione del suo costo e cioè 900 euro l'anno. Il fisco non è generoso, semplicemente accetta la realtà secondo la quale l'auto è un bene utile al lavoro. E in quanto tale in parte lo defiscalizza. I geni che ci governano hanno sostanzialmente deciso di togliere questo sconto alle auto aziendali. E dunque chi si azzarda ad avere un Cinquecento aziendale, subirà una batosta che triplica le imposte sulla vettura. Vediamo chi penalizza.

1. I lavoratori si troveranno dal 2020 un reddito superiore (nel nostro esempio circa 2.000 euro l'anno) non perché avranno una busta paga più cicciotta, ma solo perché verrà considerata per intero l'auto a loro concessa. Il che vuol dire che pagheranno ipso facto più imposta sul reddito. Ma a parità di reddito. Una mossa che colpisce due milioni di lavoratori. A cui la propaganda governativa dice che sta abbassando il cuneo fiscale: da una parte toglie dall'altra mette.

2. Le imprese che hanno concesso questo beneficio in natura passeranno dei guai. I dipendenti infatti avranno un netto in busta paga più basso e pretenderanno di restituire immediatamente l'auto loro affidata. Meglio avere contanti in busta paga, che un'utilitaria tassata come fosse lavoro.

3. Le industrie automobilistiche italiane andranno in crisi. Dite che esageriamo? Manco per niente: il 40 per cento delle nuove immatricolazioni vanno in flotte aziendali. Ma quale azienda o privato avrà più convenienza a farsi dare un'auto aziendale?

4. L'ambiente di cui tutti si riempiono la bocca subirà un colpo: altro che plastica. La vita media di un'auto privata è di undici anni. Quella di un'auto aziendale è tra i tre e i quattro. Le aziende infatti stipulano accordi di affitto di lunga durata o di leasing o di proprietà con rivendita, che non superano mai i quattro anni.

Alla fine lo Stato perderà soldi, come successe con

le tasse di Monti su barche, aerei e Tobin tax. Viene infine da sorridere come il governo, che si dice lotti contro l'evasione fiscale, bastoni i dipendenti in regola e trascuri il fatto che un Paese che non cresce, muore.

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