Di Maio fa scappare Fiat

Tassa sulla Panda, l'azienda ferma la produzione: 5 miliardi di danno Conte si arrende all'Europa, arriva il primo taglio alla manovra

Di Maio fa scappare Fiat

Il premier Conte ingoia a Bruxelles il rospo e rivede la sua manovra, tagliandola di almeno otte miliardi per evitare la sua - e nostra - Caporetto. Parafrasando all'inverso l'ultimo bollettino di Diaz che segnò la fine della Prima guerra mondiale, si può dire che «il governo che pensava di essere il più potente d'Europa risale in disordine e senza speranza le valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza». Ce li ricordiamo i vaffa all'Europa, le ironie, quei giuramenti sul fatto che «il 2,4 non si tocca, accada quel che accada». Era un bluff, balle che ci sono costate, tra spread, Borsa giù e capitali fuggiti, oltre duecento miliardi di ricchezza svanita. In altri termini, il governo ha giocato con i nostri soldi per farsi bello agli occhi dei suoi elettori. E ancora non è finita. Non solo perché la partita con l'Europa è ancora tutta da chiudere, ma perché uno degli ultimi folli annunci sta per provocare un altro danno in termini di ricchezza e occupazione.

È infatti di ieri la notizia che Fiat auto tecnicamente Fca ha annunciato che bloccherà il piano industriale 2019-2021 se Di Maio non ritirerà la legge che prevede tasse consistenti sulle auto (anche utilitarie) con motori a benzina o diesel, già nota come legge ammazza Panda. Parliamo di cinque miliardi di euro che invece di essere messi in circolo per lo sviluppo saranno congelati nelle casse dell'azienda.

Una volta valeva la regola imposta dagli Agnelli che «ciò che fa bene alla Fiat fa bene al Paese». All'inizio l'equazione ha funzionato e trascinato l'Italia nel boom economico degli anni Sessanta, poi qualcuno a Torino ha fatto il furbo e Fiat diventò una palla al piede dell'Italia. Altri tempi, ma senza tornare indietro, possiamo però dire ancora oggi con certezza che «quel che fa male alla Fiat fa male al Paese». Ed estendiamo il concetto a qualsiasi altra grande azienda che insista a produrre in questa piccola e ostica parte del mondo.

Di Maio, con il suo «decreto dignità», ha già ammazzato l'occupazione; oggi rischia di uccidere anche la produzione della prima azienda metalmeccanica. Più che un ministro dello Sviluppo pare un becchino.

Come il suo capo Beppe Grillo, che dopo aver ucciso personalmente tre persone (è condannato in via definitiva per omicidio plurimo), ieri si è augurato la morte fisica di Silvio Berlusconi. Diciamo che non ha perso il vizio. Un killer e un becchino, e dire che lo chiamano «governo».

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