Le maschere dei vizi e i volti degli incapaci

Il duca de La Rochefoucauld, uno che ha avuto a che fare con Richelieu, aveva ben capito Virginia Raggi. È nato quattro secoli prima della sindaca della Capitale ma in fondo la corte francese era molto simile alla politica romana

Le maschere dei vizi e i volti degli incapaci

Il duca de La Rochefoucauld, uno che ha avuto a che fare con Richelieu, aveva ben capito Virginia Raggi. È nato quattro secoli prima della sindaca della Capitale ma in fondo la corte francese era molto simile alla politica romana. «Siamo così abituati a mascherarci di fronte agli altri che finiamo di farlo anche di fronte a noi stessi», scriveva della doppiezza umana. E queste elezioni amministrative rischiano di diventare una gigantesca maschera, che non abbiamo voglia di svelare. E che i politici per primi hanno talmente impressa sulla loro faccia, da conservarla anche quando non sarebbe necessario. Non si rendono conto, e noi con loro.

Per giorni si è discusso di due presunti scandali della destra, che nulla hanno a che fare con le elezioni amministrative che si tengono in queste ore. Il giovane assistente di Matteo Salvini che ingaggiava festicciole equivoche e l'europarlamentare di Fratelli d'Italia che, dopo cento ore di riprese a sua insaputa, alzava il saluto romano. E così cadeva, sostiene una metà della Luna, la maschera della destra perbenista e di quella antifascista. Niente più che maschere. Che alla prova della denuncia e dell'inchiesta si sgretolano mostrando il vero volto. Può darsi.

Ma che dire della maschera della sinistra e dei suoi alleati, oggi così scandalizzati? A Roma un ponte va a fuoco per incuria e indecenza. E solo a pochi metri di distanza la maschera del politicamente corretto aveva costruito chilometri di piste ciclabili, ostentato strade mai fatte e buche colmate. A Siena il segretario del Partito democratico si candida senza il simbolo del suo partito, provando a mascherare il peso che quel segno potrebbe rappresentare. E rinviando una fusione bancaria che porterà a licenziamenti e insoddisfazioni.

C'è una differenza e non da poco in queste storie. Le prime due hanno a che vedere con l'intimità, con il privato. Sì, anche il saluto fascista. Il fascismo è sconfitto dalla storia, dalle nostre leggi e dalla nostra comunità. È un virus per il quale ci siamo vaccinati. E solo chi vuole alimentare una nuova liturgia del terrore può credere che esso ancora circoli, al di là della battuta e della posa sconveniente.

Al contrario, un ponte che crolla in fiamme non è un ricordo marcio del passato. Questa generazione di politici ha costruito la sua maschera su un ponte, quello di Genova, che è collassato.

Così come la banca senese che muore, ma che viene tenuta in coma farmacologico fino a dopo le elezioni, è la maschera di una sinistra degli affari che ancora circola. Se un saluto vale più di un ponte romano, e se una notte brava vale più di una banca, beh allora ci meritiamo le maschere.

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