Cronache

"Massacrarono il mio cane...Così è nato il comandante Alfa"

Il racconto del Comandante Alfa e di quella sfida da ragazzini. "Mio nonno mi disse: avrai una rivincita. E infatti arrestai chi picchiò il mio cane"

"Massacrarono il mio cane...Così è nato il comandante Alfa"

Il comandante "Alfa" torna a parlare. Ormai sono 47 anni che vive con indosso la divisa de Carabinieri e quel passamontagna che ne travisa il volto. È lui il fondatore del Gis, il Gruppo di intervento speciale "a disposizione della collettività 24 ore su 24" che agisce nei momenti più concitati. Mafosi, arresti difficili, irruzioni.

Il Gis è questo. "Dobbiamo essere in grado di metterci in moto entro trenta minuti dalla chiamata. La paura è la nostra compagna. Chi fa questo lavoro e non ha paura, o è un incosciente o un esaltato. E non siamo né uno né l’altro". Nella sua intervista a Libero, il comandante Alfa, spega come è diventato quello che è oggi. Il carabiniere senza volto, rispettato da molti. "Sono cresciuto in un ambiente in cui la legalità e il rispetto delle istituzioni non erano così diffusi. Anzi. Vivevo a poche centinaia di metri dalla casa di uno dei boss più ricercati d’Italia, anche se all’epoca era suo padre a dettar legge".

La sua infanzia è stata la sua palestra di vita. Quello che gli ha permesso di fare le scelte giuste nel futuro. Nonostante tutto. "Sono cresciuto in un ambiente in cui i fuorilegge, i mafiosi, erano guardati con ammirazione - dice Alfa - I loro figli ostentavano bei vestiti, biciclette che uno come me poteva solo sognare. Mio padre faceva il muratore, la nostra era una famiglia semplic". Alla fine però il comandante ha fatto una scela di vita: stare contro la mafia e non dalla sua parte. "Per un ragazzino non era così facile prenderne le distanze. Io ce l’ho fatta grazie ai miei genitori e soprattutto a nonno Ciccio, vero maestro di vita. Aveva fatto la guerra, conoscendo il male, i sacrifici, la fame. Mi ha insegnato i valori della giustizia e di quella che chiamava “libertà di muoversi”".

Esiste però anche un momento in cui il comandante Alfa decide di diventare quello che è diventato: un carabiniere. "Avevo un cagnolino - racconta a Libero - l’aveva portato a casa proprio mio nonno dopo averlo trovato alle porte del paese. Io e Jack, questo era il suo nome, eravamo diventati inseparabili. In quel periodo, avrò avuto 12-13 anni, frequentavo anche un gruppo di ragazzi più grandi, alcuni dei quali - uno, in particolare erano legati a famiglie che tutti sapevano essere mafiose". Alfa accettò di partecipare ad un rito di iniziazione per essere accolto nel gruppo. La sfida: "Buttarmi da un ponte nel fiume Belice. Un salto alto, saranno stati una quindicina di metri. Dopo mi sentivo invincibile. Andai dagli altri ragazzi mostrando il mio orgoglio, e però presi in giro quello che si faceva vanto di essere figlio di un boss. Lo canzonavo dicendogli qualcosa tipo 'fai tanto il prepotente, ma tu non hai avuto il coraggio di farlo'".

Non avrebbe dovuto farlo. "Qualche giorno dopo trovai Jack agonizzante. Qualcuno l’aveva bastonato con crudeltà, fin quasi a ucciderlo". Alfa pensò ad una vendetta che avrebbe potuto ucciderlo. "Ero furioso. E sapevo chi era stato. Volevo vendicarmi. Mio nonno mi fece ragionare: tu sei piccolo, mi disse, loro sono tanti e più grandi di te. Aspetta. Il momento per fargliela pagare arriverà, vedrai". E infatti così è stato. "Più di dieci anni dopo. Io già lavoravo nell’Arma, nel Gis. Ci informarono di un’irruzione da effettuare ad Abbiategrasso, vicino a Milano". C'era anche chi gli aveva quasi ucciso il cane. "L’operazione fu conclusa con successo - racconta Alfa a Libero - non credo che lui riconobbe in quegli occhi che s’intravedevano dal passamontagna quelli del bimbo che si era buttato dal ponte, poi umiliandolo. Ma avevo comunque avuto la mia rivincita. Aveva ragione il nonno..".

Nasce così il comdandante "Alfa", quello che tutti chiamano così "perché nelle irruzioni ero sempre il primo ad entrare".

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