Il caso del medico e dell'infermiera dell'ospedale di Saronno rappresenta la trasformazione antropologica del criminale.
Generalmente non ci sorprende il criminale che fa di mestiere il delinquente: ci stupirebbe il contrario. Tant'è vero che c'è tutta una letteratura di interpretazioni (ipocrite) che giustificano il «povero» criminale perché è cresciuto tra gli stenti, senza padre, madre prostituta, parenti in galera. Sociologia per persone buone che si sentono bene quando trovano responsabilità sempre al di fuori o lontane dal responsabile. Insomma, il copione tradizionale era sempre quello: il delinquente e i suoi prevedibili crimini, chi lo giustifica e chi lo condanna.
Da un po' di tempo, però, il criminale ha trovato per la sua strada un concorrente molto agguerrito: il signore della porta accanto, quello che s'incontra alla mattina con il sacchetto dell'immondizia in preda al dubbio amletico per capire dove mai sia finito l'umido. E invece il suo dubbio è come accoppare chi gli sta sulle scatole senza farsi scoprire, cioè cancellando ogni sospetto con la sua onorabilità, con la sua specchiata professionalità.
E ne succedono di tutti i colori: acido gettato in faccia a persone per vendetta; teste mozzate; corpi stuprati... fantasie omicide tra le più diverse ma sempre perpetrate da insospettabili. Si è infranto il confine tra il criminale di carriera per cinico e crudele destino, e la persona per bene.
In prevalenza, le palestra dei nuovi criminali è quella racchiusa tra le mura domestiche, e ciò che stupisce non è l'omicidio provocato da un raptus che obnubila la mente, ma da una strategia a lungo termine studiata nei minimi particolari per la sua realizzazione.
Se riflettiamo su ciò che è accaduto all'ospedale di Saronno, sembra di assistere a un serial televisivo con il solito contorno di crudeltà, cinismo, sotterfugi non immaginabili.
Il delitto di Saronno ha trovato un'eccellente rappresentazione estetica, al punto che coloro che non hanno seguito i fatti fin dall'inizio e li vengono a conoscere sommariamente più in là nel tempo, potrebbero sensatamente credere che si tratti di una messa in scena recitata da attori che fanno i medici e gli infermieri, proprio come in quei serial che oggi hanno grande ascolto.
Tutte le volte che una comunità non ritrova le tradizionali figure che compongono la sua complessità - il ricco e il povero; il buono e il cattivo; ecc. - perché queste si confondono, si scambiano in un gioco delle parti, significa che la società si sta scollando, sta perdendo i suoi tradizionali punti di riferimento senza trovarne di nuovi alternativi. Per comprendere cosa stia accadendo, si deve guardare le istituzioni fondamentali: la famiglia, la scuola, le strutture politiche rappresentative. Sono in crisi, attraversano un'inesorabile, estenuante decadenza, senza essere più in grado di arrestare lo sfilacciamento sociale.
Il mondo delle arti ha raccontato tutto questo con anticipo, come sempre. I romanzi più letti sono quelli che raccontano i disastri familiari; le canzoni più amate sono quelle che evocano la bellezza del tempo che fu; l'arte visiva non è più capace di esprimere un senso della vita; i serial televisivi ci fanno assistere da qualche anno a ciò che oggi accade.
Si è distrutto il valore della tradizione, cioè di quella complessità storica oggettiva che fa convivere le differenti realtà soggettive: si vivacchia, con l'idiota gioia di molti, nel relativismo dei valori; si celebra con incosciente assenza di responsabilità il nichilismo, vera malattia spirituale del nostro tempo.Stefano Zecchi
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