Le vite ritrovate che ci fanno gridare al miracolo

Le vite ritrovate che ci fanno gridare al miracolo

Dieci persone trovate vive sotto la valanga all'hotel Rigopiano di Farindola e tratte in salvo. È un miracolo. La parola rimbalza sui titoli online dei quotidiani laici. Diciamo «miracolo» così, per istinto, prima di chiederci cosa significhi questa parola. Non abbiamo bisogno di saperlo, non abbiamo bisogno di avere sottomano un catechismo o un trattato di teologia.

Queste persone sono state trovate vive, sono state salvate, e noi credenti e no diciamo che è stato un miracolo, e la prima ragione è che non ci speravamo più. Tra noi, l'espressione «venticinque dispersi» significa ormai soltanto questo: venticinque morti.

Miracolo, soprannaturale. La natura non risparmia una bambina, non risparmia altre dieci persone. Chi ha visto una valanga sa che non c'è scampo. Il solo spostamento d'aria abbatte gli alberi come fossero stuzzicadenti. Come si poteva immaginare che l'albergo, spostato di diversi metri dall'urto immane dell'aria e della neve, potesse custodire ancora tante vite vive?

Un miracolo è cosa non sperata, non immaginata, non prevista. È soprannaturale perché, secondo la nostra limitata esperienza, la natura non si comporta così.

Il cristianesimo non sembra conferire ai miracoli una particolare importanza. Il miracolo, per il cristianesimo, è sostanzialmente uno, quello annunciato dal Vangelo di Giovanni: «Il Verbo si è fatto carne». Tutti i segni compiuti da Gesù, comprese le resurrezioni e le guarigioni, vanno in questa direzione.

Questo coincide con un sentimento semplice: tutto è miracolo. Il fatto che noi ci siamo, fosse pure per un istante, ci testimonia la presenza di un mistero potente. Ci sono voluti secoli di nichilismo e di intellettualismo (e di pigrizia mentale) per smantellare questa umanissima evidenza, riducendola a una specie di sogno infantile.

Alla terribile notizia, l'altra sera, io e altri amici ci siamo messi a pregare per le persone investite dalla valanga. È stato un gesto spontaneo, perché siamo credenti, ok, ma soprattutto perché sentivamo che, in qualche modo, quelle persone sconosciute non ci erano estranee, che il mondo non era fatto di una somma di individui, e che qualcosa ci legava tutti.

Cosa speravamo? Cosa speravo, io, mentre pregavo? Non lo so. Non so se speravo che quelle povere persone fossero ancora vive o se chiedevo soltanto (si noti: soltanto) che Dio li assistesse, li consolasse, li confortasse. Non so se pregavo per i loro corpi o soltanto (ecco di nuovo la parola) per le loro anime.

Forse pensavo che la seconda ipotesi fosse sufficiente: un'ipotesi civile, ragionevole, generosa.

Ma Dio ama i corpi, non solo le anime. Non c'è bisogno di essere credenti per capirlo, basta conoscere anche minimamente il significato della parola «Dio».

Dio, se è vero che ci sei, salva queste persone, restituiscile alla vita, ai loro cari! Non lasciarli cadere nel baratro della morte! Così grida il cuore di noi tutti.

Non a caso il cristianesimo professa la resurrezione della carne. Che m'importa se tu, che io amavo e che sei morto, sei in paradiso? M'importa poterti abbracciare di nuovo, proprio con queste mani, ruvide e callose come sono: non quelle perfette dell'anima!

Ecco, all'hotel Rigopiano c'è stato un anticipo di questo mistero. Gente che credevano morta è ancora con noi, e noi, giustamente, desideriamo uccidere il vitello grasso e fare festa.

Il vescovo locale, come sappiamo, di fronte alla tragedia si è chiesto, a voce alta, dov'era Dio in quel momento. Magari desiderava essere vicino al dolore altrui senza fare troppe prediche, o forse la sua fede ha vacillato. Tutti siamo come lui. Due secoli di incredulità pesano su tutti noi, vescovi inclusi. Come diceva un amico, noi non abbiamo la fede, se Dio non ce la dà tutte le mattine.

Ed ecco all'improvviso la risposta, in mezzo al dolore e alla preghiera per il destino di

altre persone. Una risposta c'è: sconcertante e meravigliosa come il primo giorno di vita. Dieci persone salvate. Poteva essere anche uno, uno soltanto. Ma nel frattempo noi torniamo a sperare, e anche questo è un miracolo.

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