Miraggi

I fenomeni più esiziali in politica sono i miraggi, cioè dar per scontata o immaginare una realtà che poi si dimostra fallace

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I fenomeni più esiziali in politica sono i miraggi, cioè dar per scontata o immaginare una realtà che poi si dimostra fallace. Vedi la crisi del Papeete aperta da Salvini nella convinzione di avere le elezioni in tasca. O, ancora, la sicumera con cui Giuseppe Conte accettò la sfida in Parlamento che portò alla crisi del suo governo. Sempre il miraggio di avere in ogni caso la vittoria in tasca ha portato in queste elezioni una parte del centro-destra a trascurare la profonda metamorfosi che il Paese ha avuto dopo il Covid: populismi e sovranismi sono passati di moda o, comunque, non sono più in auge, mentre la voglia di rinascita ha ridato fiato al pragmatismo, alla concretezza, al rifiuto di ideologie prêt-à-porter che durano una stagione. Un cambiamento che le aree più estreme della coalizione non hanno colto, tant'è che hanno continuato a inseguire la minoranza no-vax dimenticando che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica (anche tra i loro elettori) era diventata, non fosse altro per realismo, pro-vax.

Ora, però, un abbaglio nella lettura dei dati elettorali rischia di averlo Enrico Letta e i suoi alleati se immaginano di sfruttare il voto di domenica per spostare il baricentro del governo a sinistra. La riforma del catasto è stato un tentativo che andava in questa direzione, abortito perché i ministri della Lega hanno disertato il Consiglio dei ministri e la delegazione di Forza Italia ha congelato ogni conseguenza fino al 2026: in poche parole la declinazione della riforma ricadrà sulle spalle di un altro governo e di un altro Parlamento.

Solo che si tratta di un segnale del «mood» che contagia già il Pd e i suoi alleati, cioè quello di immaginare che le elezioni di domenica scorsa abbiano segnato un giro di boa, che la sinistra abbia superato la sua crisi e che si sia agli albori di un nuovo Ulivo. Ma non è così. Il punto è che l'elettorato moderato non è passato sul versante del centro-sinistra: o ha disertato le urne perché non si è sentito rappresentato da un centro-destra che ha il motore e il volante a destra; o si è rifugiato in esperienze come quelle di Calenda e già al secondo turno o diserterà le urne, o tornerà a casa. Insomma, non ha cambiato casacca. E anche l'idea di Letta di allargare lo schieramento rischia di avere pochi interlocutori. C'è un Giuseppe Conte depotenziato, che insieme al suo ruolo istituzionale ha perso anche otto decimi della sua popolarità. Mentre i leader del grillismo d.o.c. , dalla Raggi all'Appendino, guardano con una certa diffidenza l'abbraccio con il Pd. Quindi, Letta rischia di portare a casa non un partito alleato, ma un'«appendice» di partito.

Su Calenda il discorso è diverso ma l'epilogo simile: l'ex-ministro è riuscito a mettere in piedi la lista che ha riscosso più consensi a Roma, solo che metà di quei voti sono moderati e non riuscirà mai a portarli in dote a Gualtieri o all'Ulivo di Letta. In sintesi: queste elezioni non le ha vinte il Pd, semmai hanno fatto di tutto per perderle Salvini e la Meloni.

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