“Il mondo militare sopprime l’umano”. L’ultima boiata radical chic

Dopo la "paura" della Murgia, altri guardano con sospetto le divise e il loro mondo. Ma chi indossa una divisa lo fa con orgoglio

“Il mondo militare sopprime l’umano”. L’ultima boiata radical chic

È sempre difficile commentare un commento. Analizzare cioè il pensiero di chi ha preso carta e penna per comunicare un disagio, raccontare una storia personale, spiegare i suoi perché. Però stavolta è necessario, oltre che interessante. Sarete ormai edotti sulla querelle della settimana, ovvero la “paura” che pare attanagli Michela Murgia ogni qual volta vede il generale Figliuolo indossare la divisa di fronte alle telecamere. Quando lo sente annunciare “fuoco a tutte le polveri” o “fiato alle trombe” le vengono proprio i brividi. La nostra proposta, in questa umile rubrica sui radical chic, l’abbiamo già fatta: la scrittrice sarda dovrebbe farsi un paio di mesi di naja obbligatoria per imparare che dai soldati non s’ha nulla da temere, al massimo da imparare. Dedizione, fedeltà, rispetto, cameratismo: sono tutti valori che temprano gli uomini e le donne. E che renderebbero la nostra società un po’ migliore, se solo ai giovani d’oggi glieli insegnassero invece di farli bighellonare in giro a creare baby gang.

Di critiche contro la Murgia ne sono piovute a iosa. Ma è arrivato pure qualche attestato di stima. Su Domani, ad esempio, lo scrittore Andrea Donaera, figlio di un finanziere, ha difeso la collega rivendicando il “diritto di essere spaventati dal linguaggio militare” e biasimando le “espressioni fuori tempo del commissario Figliuolo”. Ora, come già anticipato, non commenteremo il disagio di Doanera per aver vissuto anni in una caserma al seguito di papà. Nè l’imbarazzo che ha provato quando invitava le fidanzatine passando di fronte ad un minacciosissimo cartello giallo con scritto: “Zona militare. Divieto di accesso. Sorveglianza armata” (brrr, che paura!). Ci limiteremo però a dire che sbaglia enormemente quando afferma che per loro natura “i militari devono essere percepiti come una forza in grado di far abbassare la testa. Sono e devono essere la mano severa dello Stato”. E non perché non siamo d’accordo. Ma proprio perché è una corbelleria. Lei ha mai visto un soldato in mimetica effettuare un arresto? No, non possono. Oppure reprime azioni dei cittadini? No, non credo. Certo ci sono i carabinieri, che tecnicamente sono militari, ma allora anche la polizia dovrebbe farci “paura” alla stessa maniera. L’armamentario c’è: pistole, manette, manganelli, scudi.

L’altra baggianata è sostenere che i militari parlino “in modo assertivo” per “creare ordine”, o che usino un “linguaggio violento”, “inquietante e “spaventoso”, instillando così “timore nei cittadini”. Vorrei ricordare che ormai da diversi anni chi risiede in una città è abituato a vedere i soldati di Strade Sicure agli angoli dei quartieri. Sarò poco attento io, ma non ho mai visto cittadini tramortiti dal terrore girare alla larga dalle camionette o mettersi ad urlare appena vedono una mimetica. E poi mi scusi, dottor Doanera: ma che vuol dire che la lingua militaresca “troppo spesso combacia con il linguaggio della guerra”? Quali parole dovrebbero usare, mi dica: quelli da centro sociale affumicato di marijuana? L’architetto utilizza termini sulle costruzioni. L’avvocato prosopopee legali. Il medico parole scientifiche. E i soldati, che ovviamente si tengono pronti in caso di conflitto, maneggiano il linguaggio della guerra. Non mi pare uno scandalo.

Infine, piccolo appunto. Per Doanera chi veste una divisa in alcuni casi vive come una doppia vita: una durante il servizio, impettito e gerarchico, l’altra in abiti civili, quando torna a casa. Può darsi. Ma sostenere che “il contesto” militare è per natura “repressivo” perché deve sopprimere “non solo il disordine, ma l’umano”, è eccessivo.

E forse è anche offensivo verso i soldati che con dedizione appartengono a quel pianeta. Vada a vedersi suoi social quanti hanno pubblicato immagini del loro servizio militare. Persone che non si sentono affatto “oppresse”, ma pienamente realizzate. E che con orgoglio indossano una divisa.

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