Morto in ospedale Provenzano il boss dei boss

Morto in ospedale Provenzano il boss dei boss

Non bisogna avere pietà per chi capeggia un'organizzazione che strozza i bambini e li scioglie nell'acido. Persino la morte è una pace che non meritano. È Bernardo Provenzano, il capo dei capi! Eppure Provenzano o non Provenzano, noi non avevamo il diritto di farlo morire così, senza che i suoi cari - i cari di un assassino, certo - potessero accarezzarlo, cogliere, in un sussulto finale del suo corpo vecchio, un frammento diverso dalla memoria diabolica che quell'ergastolano aveva scelto per sé, e sperare anche per lui.

Prima, assolutamente prima di Provenzano, dobbiamo sperare per Giuseppino Di Matteo, segregato fino a essere incapace di ribellarsi, garrotato e poi liquefatto e versato in un giardino come liquido inquinante. A volere questo fu ciarpame come Provenzano, ricordiamolo. Ma dopo, molto dopo esserci inchinati e avere ripetuto il nome delle mille vittime innocenti, dobbiamo dirci che non si fa così, non si può tenere dentro una teca di cristallo un moribondo ormai senza il potere nemmeno di sbattere le ciglia, non si deve impedire che a lui si accostino coloro che, non si sa come e perché, ma è il sangue, gli vogliono bene.

Bernardo Provenzano è stato il simbolo della meschinità e della povertà del potere mafioso. Potere di uccidere. Un potere miserabile. È vissuto da pecoraio, trasmetteva pizzini briganteschi, mangiava cacio nella sporcizia. Poi è stato catturato. Troppo tardi senza dubbio. Si doveva prenderlo molto tempo prima. Non è però una buona ragione per tenerlo prigioniero anche da cadavere vivente; i cadaveri non appartengono a nessuno, neppure allo Stato. Oso dire che in tal modo non rendiamo onore alle vittime. Era meno incivile impiccarlo, come fece Israele con Eichmann, che poté dire alcune parole. Spentosi a 83 anni, ma in realtà era già spento da quattro anni, da quando cadde in cella a Parma, il boss dei boss era detenuto in regime di 41 bis. Uno stato di prigionia assoluta che nei Paesi di democrazia occidentale è praticato sono in Italia. Guantanamo è più leggera, consente momenti di maggiore socialità. Ci sono delle ragioni forti per la decisione di averlo istituito e oggi di mantenerlo. Per i pezzi da novanta di Cosa Nostra, 'ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita le mura di cemento armato del carcere di massima sicurezza erano carta velina. I loro ordini di morte e dominio si facevano beffe della segregazione. Governavano dalla cella, come fosse la sala del trono, riveriti e vezzeggiati, con messaggeri ai loro piedi. Il 41 bis è stato ed è un argine efficace. Forse troppo. Fino a essere - lo dico avendo più volte visitato queste zone di carcerazione assoluta, tombale - una forma di tortura che non crea lividi, snerva l'intimo. Ma almeno i morti non si devono torturare, non serve, sporca gli Stati e le comunità che lo fanno.

La crudeltà della pena, giustificata a tutela del bene degli inermi, si ribalta e ci giudica se è inutile e serve solo a costruire una specie di monumento alla mafia eretta a colosso indomabile anche quando somiglia a un vegetale in putrefazione, a una bestia neanche più capace di rantolare, ma è un uomo, resta un uomo, anzi era un uomo, Provenzano. Mi vergogno molto di dedicare più parole a un assassino che non ad esempio a Vito Schifani, l'agente di scorta di Capaci, cui la vedova Rosaria dedicò parole immortali ai funerali in Palermo: «Vi perdono ma dovete mettervi in ginocchio e dovete cambiare, ma non cambiate, non cambiate!». Ma noi non dobbiamo diventare come loro. Lei non merita che si tratti così Provenzano. Non merita che si misconosca la sua testimonianza vittoriosa.

Provenzano è morto nel reparto ospedaliero di San Vittore, cioè in un'ala dell'ospedale San Paolo di Milano. Ci sono stato parecchie volte, c'è molta umanità, i detenuti trovano sguardi di medici e infermieri che non li giudicano, ma cercano di guarirli. Dunque, sia chiaro, nessuna efferatezza. Ma non è questo, il punto. Provenzano da quattro anni era in condizioni di assoluta incapacità di intendere e volere. Aveva le reazioni di un vegetale. Come Oriana Fallaci pensava di casi simili, ritengo però non fosse affatto un vegetale: non lo era Terry Schindler Schiavo, non lo era Eluana Englaro. Sotto quella corazza inerte che impedisce qualsiasi parola e gesto, forse persino i pensieri più elementari, però c'è un rimasuglio di coscienza, e l'intera dignità della persona. Per Provenzano non c'erano state perizie mediche ostative, o pareri dei pubblici ministeri negativi a che fosse consegnato a uno stato di detenzione, non in casa certo, ma in una stanza dove giacesse fuori dal sepolcro di cristallo che lo teneva inchiodato come un insetto con gli spilli in carcere.

Invece la burocrazia che ha bisogno sempre di nuovi timbri, e i responsabili politici che temono l'accusa di connivenza con la mafia di anime purissime e glaciali tipo 5 Stelle, non sono stati capaci di un lieve umano coraggio, e di consentire l'ultimo accesso al carcere ai suoi cari. Che povero potere aveva Provenzano. Che miserabile vita. Che morte desolata.

Renato Farina

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica