Cronache

"No alla moschea di Mestre". E gli islamici vogliono bloccare la città

Dopo la chiusura della moschea in via Fogazzaro, la comunità islamica presente a Venezia minaccia di bloccare la città se l'amministrazione non troverà un'altra sede entro venerdì

"No alla moschea di Mestre". E gli islamici vogliono bloccare la città

Una moschea o un luogo di culto entro domani. Questa, in sintesi, la richiesta che arriva dai fedeli dell centro culturale di via Fogazzaro, a Mestre. Dopo la chiusura del centro in questione arrivata ieri, la comunità musulmana si dice disposta ad aspettare sino ad oggi, quando è in programma l’incontro tra vigili, comune e regione per trovare una strada, poi daranno vita ad un vero e proprio blocco della città. Il portavoce della comunità bengalese, Kamrul Syed, avrebbe dichiarato: "Siamo cittadini come tutti: o ci danno una sede o fermeremo i ristoranti di Venezia, Fincantieri, le scuole".

Il luogo di culto ora chiuso mediante una diffida, la moschea di via Fogazzaro - riporta l'Ansa- " era salita alla ribalta anche perchè era risultato fosse stata frequentata da alcuni dei kosovari arrestati due settimane fa a Venezia con il sospetto di far parte di una cellula jihadista". Una nota diffusa dalla prefettura di Venezia agli inizi di aprile, del resto, aveva già definito la volontà di porre i sigilli alla moschea, posti effettivamente ieri: " In relazione al centro di preghiera di via Fogazzaro, atteso che sono state accertate delle violazioni di carattere edilizio, nonché sulla destinazione d'uso dell'immobile, che non consentono, a tutela degli stessi frequentatori, il mantenimento dell'apertura, il Comune di Venezia, per venire incontro alle esigenze rappresentate dalla comunità bengalese, ben integrata insediata nel territorio, avvierà da subito i contatti con i referenti responsabili allo scopo di individuare, nell'ottica di un rapporto improntato al dialogo e all'integrazione sociale, dei luoghi alternativi per la preghiera, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia".

I bengalesi, però, non ci stanno ed ora rivendicano una sala dove poter pregare, specie in vista di venerdì prossimo: "Abbiamo deciso di scioperare se non si trova una soluzione per la sede dove pregare - spiega Syed -. Almeno una soluzione provvisoria fino a quando non sarà individuata la sede definitiva. Noi stiamo facendo il possibile per mantenere la tranquillità tra i nostri connazionali. Ma se venerdì non ci sarà un posto la gente pregherà on un qualsiasi luogo e con tante persone è possibile che qualcuno non mantenga la calma".

Un vero e proprio avvertimento quello proveniente dalla comunità bengalese, che rivendicherebbero di aver da poco finito di pagare il mutuo per l'acquisto dello stabile quindi in diritto di avere immediatamente a disposizione uno spazio alternativo. Da segnalare la protesta civile dei residenti della zona, che soprattutto stendendo lenzuola dalle balconate, evidenziano come vengano spesso svegliati dai cinque turni di preghiera svolti all'interno della moschea e come ci sia nel quartiere una forte esigenze di ripristino di legalità.

La provocazione della comunità bengalese, poi, non ha spaventato l'assessore Simone Venturini: " Scioperino pure. Non accettiamo ricatti né velate minacce. Le regole valgono per tutti, anche per la comunità islamica". E ancora: "Io non mi occupo personalmente del centro di preghiera, ci sono due altri colleghi, parlo quale assessore alla coabitazione sociale. Ritengo che la minaccia sia da irresponsabili. Anche perché non è certo colpa dell’Amministrazione comunale se loro non si sono adeguati a quanto gli era stato prescritto in base alla legge. Respingiamo al mittente la minaccia. Anche loro devono riconoscere che non ci sono solo diritti, ma ci sono anche doveri".

Oggi, tuttavia, l'incontro fissato per scongiurare un pericolo che potrebbe far di nuovo balzare Venezia alle cronache dopo lo sventato attentato al ponte di Rialto.

La situazione, insomma, è calda e la comunità bengalese presente nella provincia veneta non sembra disposta a scendere a compromessi.

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