Nanga Parbat, Elisabeth: "Mentre lui moriva io avevo le allucinazioni"

Il racconto Elisabeth Revol, l'alpinista sopravvissuta dopo la scalata del Nanga Parbat fa riflettere. Così ha abbandonato il suo compagno d'avventura

Nanga Parbat, Elisabeth: "Mentre lui moriva io avevo le allucinazioni"

Il racconto Elisabeth Revol, l'alpinista sopravvissuta dopo la scalata del Nanga Parbat fa riflettere. Lei hai dovuto abbandonare a 8mila metri il suo compagno d'avventura, Tomasz Mackiewicz per mettersi in salvo. Ha dovuto scegliere tra morire con lui o salvarsi abbandonandolo al suo destino. La sua storia ha fatto il giro del mondo e adesso racconta come sono andate davvero le cose dalla clinica di Sallanches dove è ricoverata per evitare l'amputazione dei piedi. "Era il mio quarto tentativo invernale e il settimo per Tomasz, eravamo partiti insieme il 15 dicembre. Una volta in cima, però, Tomek, che non aveva usato la maschera per un problema, presentava una forte infiammazione all'occhio e non riusciva a vedere niente".

Poi la scelta rapida di tentare una discesa veloce per evitare il peggio e per mettere in salvo Tomasz: "Decidiamo di scendere rapidamente, ma lui ha iniziato a perdere le forze e dopo poche ore presentava una grave forma di edema, con il sangue che scorreva costantemente dalla sua bocca. Non poteva farcela, quindi ho allertato i soccorsi, ma le comunicazioni non erano chiare e mi è stato imposto di scendere a 6000 metri per poi recuperare Tomasz in elicottero". Poi il dolore fisico a quanto pare ha lasciato spazio alle allucinazioni: "Ho immaginato persone che venivano a portarmi del tè caldo e una signora mi ha chiesto se poteva prendere la mia scarpa. In quel momento, meccanicamente, mi sono alzata e mi sono tolta la scarpa. Al risveglio, al mattino, al piede avevo solo il calzettone". È in questo momento, al risveglio, che decide di abbandonare il suo compagno di scalata.

"Ero congelata e in preda al dolore, stava diventando una questione di sopravvivenza. Alla fine ho incontrato Adam Bielecki e Denis Urubko, due alpinisti esperti, che sono stati i miei soccorritori, ad una quota di 6300 metri, nei pressi del campo 2".

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